Un nuovo invito alla teologia rivolto da Papa Francesco

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di Alessandro Clemenzia · All’inizio di un congresso internazionale sul futuro della teologia, organizzato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione (9-10 dicembre scorsi), Papa Francesco, nel rivolgere un saluto ai partecipanti, ha avuto modo di offrire alla riflessione teologica alcuni spunti interessanti.

Vorrei anzitutto dirvi che quando penso alla teologia mi viene in mente la luce”. E qui il Papa ha tracciato sinteticamente alcune caratteristiche che contraddistinguono la luce: essa di per sé non si vede, ma è cioè che permette di vedere e di riconoscere le persone, le cose e tutto ciò che ci circonda. La luce, in altre parole, non si vede, ma fa vedere, ed è capace di spostare costantemente l’attenzione di chi guarda da sé a ciò che è “altro” da sé, rinunciando così a un certo protagonismo plateale. Spiega il Papa: “Così è anche la teologia: fa un lavoro nascosto e umile, perché emerga la luce di Cristo e del suo Vangelo”. Il carattere “relativo” della teologia consiste proprio in questo: nell’essere totalmente proiettata verso qualcosa, o meglio Qualcuno, che è decisamente più grande di lei. E la teologia è se stessa unicamente se sposta l’attenzione dell’interlocutore da sé a Cristo.

A partire da questa premessa, Francesco ha consegnato ai partecipanti un desiderio e un invito. Il primo consiste in questo: “che la teologia aiuti a ripensare il pensiero”. Non si tratta, dunque, di offrire nuovi contenuti, ma di rivolgere l’attenzione al ritmo del pensare. Recuperando il tema della luce, precedentemente proposto, si potrebbe anche esprimere questo desiderio del Papa come un concentrarsi sul modo stesso di guardare. E “la prima cosa da fare, per ripensare il pensiero, è guarire dalla semplificazione” di chi non tiene conto della complessità della realtà in cui l’uomo e la donna di oggi vivono. “La semplificazione vuole mutilare la realtà, partorisce pensieri sterili, pensieri univoci, genera polarizzazioni e frammentazioni. E così fanno, ad esempio, le ideologie. L’ideologia è una semplificazione che uccide: uccide la realtà, uccide il pensiero, uccide la comunità. Le ideologie appiattiscono tutto a una sola idea, che poi ripetono in modo ossessivo e strumentale, superficiale, come i pappagalli”.

Tanto l’astrazione concettuale quanto la semplificazione finiscono per generare un pensiero incapace di aderire e interpretare la realtà in tutti i suoi molteplici aspetti. La teologia è così chiamata a cogliere la complessità in cui vive alimentandosi costantemente (fino a farsi rigenerare) di quella interdisciplinarità e transdisciplinarità che la caratterizzano: “Si tratta di far “fermentare” insieme la forma del pensiero teologico con quella degli altri saperi: la filosofia, la letteratura, le arti, la matematica, la fisica, la storia, le scienze giuridiche, politiche ed economiche. Far fermentare i saperi, perché essi sono come i sensi del corpo: ciascuno ha una sua specificità, ma hanno bisogno l’uno dell’altro”.

Si tratta di un impegno che la teologia deve assumere, non uscendo da se stessa per entrare in relazione con altri saperi, ma entrando in se stessa e ritrovando nelle sue viscere quella tensione inter- e trans-disciplinare che la costituiscono profondamente e la fanno essere realmente corrispondente alla sua vocazione.

Dopo aver sottolineato questo desiderio, il ripensare il pensiero, Francesco ha lasciato ai partecipanti un invito: “che la teologia sia accessibile a tutti”. E qui il Papa ha chiesto agli accademici convenuti al Congresso da diverse parti del mondo di prendere consapevolezza di un fenomeno che contraddistingue, da diversi anni, le Facoltà teologiche: “Da qualche anno, in molte parti del mondo si segnala l’interesse degli adulti per la ripresa della propria formazione, anche accademica. Uomini e donne, soprattutto di mezza età, magari già laureati, desiderano approfondire la fede, vogliono fare un cammino, spesso si iscrivono a una facoltà universitaria”.

Sono persone che avvertono molto forte il desiderio di riprendere un cammino per mettersi alla ricerca di un senso, e la teologia è chiamata ad accompagnarle in questa fase delicata della loro vita. È qui l’invito del Papa: “Per favore, se qualcuna di queste persone bussa alla porta della teologia, delle scuole di teologia, la trovi aperta. Fate in modo che queste donne e questi uomini trovino nella teologia una casa aperta, un luogo dove poter riprendere un cammino, dove poter cercare, trovare e cercare ancora”. L’accoglienza deve portare i diversi istituti accademici a pensare nuovi programmi di studio, proprio “perché la teologia sia accessibile a tutti”.

Si tratta di un fenomeno, quello presentato dal Papa, che effettivamente contraddistingue le facoltà teologiche, le quali saranno sempre più chiamate, oltre a preparare seminaristi, religiosi e religiose al proprio cammino vocazionale, a offrire una formazione autentica e globale anche ai laici, per far riscoprire la ragionevolezza della propria fede e prepararli, aiutandoli a recuperare le competenze già acquisite attraverso gli studi e le differenti esperienze lavorative, ad una più matura ed efficace partecipazione alla vita della Chiesa.

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