«Ogni parola che esce dalla bocca di Dio»
di Stefano Tarocchi · In questi tempi in cui sembrano conoscere una maggiore conferma le parole del Vangelo, e coloro che «sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano con forza su di esse il potere» (cf. Mc 10,42). In questi tempi in cui in cui le parole degli uomini e, in particolare, di quanti governano i popoli della terra, e come tali sono capaci di creare le condizioni per superare i conflitti e le guerre, oppure renderli ancora più acuti, magari umiliando i loro interlocutori, credo sia necessario ritornare all’unica parola che crea, ovvero la parola di Dio. Lo dice con chiarezza cristallina la lettera agli Ebrei: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2).
Due brevi tratti dei Vangeli ci possono venire ulteriormente in aiuto.
Il primo è tratto dal racconto delle tre prove, o tentazioni, alle quali viene sottoposto il Cristo dopo il battesimo, secondo il racconto di Matteo: «Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,1-4).
È quello che scrive l’apostolo Paolo ai cristiani di Tessalonica, osando addirittura sostenere che la sua predicazione del Vangelo non è semplicemente parola di uomini ma realmente parola di Dio, che agisce nel cuore dei credenti: «anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti. Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Cristo Gesù che sono in Giudea, perché anche voi avete sofferto le stesse cose da parte dei vostri connazionali, come loro da parte dei Giudei. Costoro hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, hanno perseguitato noi, non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini. Essi impediscono a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano sempre di più la misura dei loro peccati! Ma su di loro l’ira è giunta al colmo» (1 Ts 2,13-16).
Da queste parole apprendiamo anche l’impatto che genera il respingimento da parte di coloro che usano le loro parole vuote, e talora violente, oltre al loro potere per impedire l’annuncio del Vangelo e la sua realizzazione. Questo permette anche di apprezzare ancora di più la maniera in cui il Vangelo secondo Luca presenta il racconto della chiamata dei primi discepoli dal mestiere di pescatori a quello di «pescatori di uomini» (Lc 5,10). L’evangelista anche utilizza un racconto che deriva, per tante ragioni facilmente apprezzabili, dalle manifestazioni del risorto dopo che ha sconfitto la morte. Ma è significativo che introduca la presenza del Signore accanto ai discepoli che cambieranno la loro vita per seguirlo dopo una pesca ottenuta al termine di una notte senza risultato. Il Vangelo dice semplicemente così «la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio» (Lc 5,1).
È ciò di cui c’è bisogno ancora in questi nostri tempi, in cui c’è sempre qualcuno che, dentro la comunità dei credenti, mette in discussione l’immagine di Chiesa dello stesso Concilio Vaticano II, e la tenacia con il quale i vescovi, che lo hanno portato a termine, hanno insistito sulla diffusione più ampia della parola di Dio, dentro le lingue parlate dagli uomini e dalle donne di questi nostri tempi così complicati e apparentemente senza speranza.