Male morale e imputabilità soggettiva

334 500 Gianni Cioli
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di Gianni Cioli ·Nell’esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, in continuità con gli insegnamenti della tradizione teologico morale cattolica, Giovanni Paolo II ricordava che «senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto l’aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del peccatore» (RP 17). Infatti, come spiega anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali» (Catechismo 1735). Dunque, come ha rammentato anche Papa Francesco nell’Amoris laetitia, «un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta» (Amoris Laetitia 302).

Queste tre autorevoli citazioni possano aiutare a rispondere alla questione che spesso viene posta a riguardo dell’imputabilità soggettiva di atti che, oggettivamente, risultano moralmente sbagliati, anche in modo grave. «Se una persona malata, o anche “solo” in uno stato di sofferenza, magari perché ho subito violenze, commette certi atti… sono peccato?» – mi domandava, ad esempio, una lettrice di Toscana oggi, pensando in particolare alle dolorose vicende di una persona a lei cara.

Alla questione si può certamente rispondere che determinati atti, anche se sono e rimangono oggettivamente cattivi, non sono necessariamente peccato se la persona che li compie non è pienamente libera.

 

Certo, solo Dio può giudicare, fino in fondo e nella piena verità, il cuore umano e valutare l’autentica responsabilità di una persona. Noi, con umiltà, possiamo solo presumere, conoscendo la complessità di una storia di sofferenza, che una persona non sia responsabile, o pienamente responsabile, del male delle sue azioni. Certamente possiamo cristianamente sperare che il Signore sarà particolarmente misericordioso con chi ha molto sofferto per la violenza altrui.

D’altra parte, il male rimane oggettivamente male, anche quando non fosse soggettivamente imputabile e, quindi, definibile formalmente come peccato. Dovremmo quindi fare il possibile per aiutare la persona che compulsivamente compie atti oggettivamente cattivi a liberarsi dalle costrizioni del male. In effetti, ciò che è oggettivamente male, è anche generalmente nocivo per la stessa persona che lo compie e dovremmo quindi aiutarla a riconoscere il male come tale 

e a liberarsene. In questo percorso di liberazione può essere preziosa la direzione spirituale, come pure l’amicizia di qualcuno che sta vicino alla persona condizionata dal male e prega per lei, ma non dobbiamo sicuramente perdere di vista, in certi casi, l’opportunità di un accompagnamento terapeutico condotto professionalmente.

Dobbiamo inoltre tener presente che talora «certi atti» compiuti da persone che agiscono in modo compulsivo, e quindi, probabilmente, non moralmente imputabili, possono far del male anche ad altri soggetti che hanno il diritto di essere tutelati. È importante lavorare per evitare questo, anche per cercare di interrompere la catena del male: pensiamo al caso di minori vittime di violenza che rischieranno tragicamente di divenire, a loro volta, autori di violenza.

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