Lux perpetua

Il significato superficiale che ricaviamo da una prima lettura è che vi sono alcuni uomini (quale che sia il loro numero non è così rilevante), giunti dal lontano Oriente seguendo una stella, che cercano un neonato da loro chiamato “re dei Giudei” per adorarlo.

Erode capisce che questi viaggiatori cercano qualcuno di un’altra levatura. È con questa convinzione che vuole sapere dai suoi dove sarebbe dovuto nascere “il Cristo”. Le ricerche attestano che la nascita del Cristo dovrà avvenire a Betlemme, secondo le parole del profeta. Così Erode, chiamati questi viaggiatori, «si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme» (Mt 2, 7-8), convinto che lì troveranno informazioni utili sul Cristo. Dalla richiesta di Erode e, chiaramente, dal nome usato da Matteo per riferirsi a questi uomini, comprendiamo che essi conoscono molto bene le stelle, che sono capaci di leggere i segni del cielo. Dunque essi sono, evidentemente, dei μάγοι.

Sembrerà banale precisare che i Magi sono dei veri magi, eppure: com’è possibile che degli abili conoscitori degli astri, seguano con fiducia una stella così strana? Quando mai l’uomo si affida ciecamente all’incertezza, alla stranezza? Questa non è una stella come le altre. Lo ricaviamo dal testo stesso: sorge, viene vista dall’Oriente, li precede e poi sosta precisamente sul luogo in cui è nato il Figlio di Dio (“ἐστάθη ἐπάνω οὗ ἦν τὸ παιδίον” letteralmente: si posizionò sopra dove era il bambino). Quale stella ordinaria si comporta così? Come nota Giovanni Crisostomo (in una delle Omelie sui vangeli), una semplice stella non può indicare con tanta precisione una zona precisa: essa sta in alto, nel firmamento, e da quell’altezza non può certamente “indicare” una casa, un’abitazione, o qualunque cosa fosse il giaciglio del Cristo. Ma, allora, cosa motiva degli esperti come i Magi a seguire questa stella? Essi sono attratti dalla luce, seguono quella luce di quella stella così strana. E se quella stella era la stella del Cristo, quella luce era la luce del Cristo, era la luce del vero re dei Giudei. I Magi riconobbero, dall’Oriente, la luce del Cristo. Ne possiamo concludere che essi sono consapevoli della stranezza del fenomeno, del comportamento della stella, ma non sono altrettanto consapevoli di quella luce nuova: una luce tanto familiare quanto strana e inquietante. Ma, anzi, proprio perché inquietante, smuove i magi dalla propria infeconda staticità. Cristo li chiama per mezzo di ciò che è loro più familiare (lo studio degli astri), ma non si limita a questo: la chiamata avviene sì dall’intimo della propria familiarità, ma il luogo a cui sono chiamati è tutt’altro che intimo e familiare. Ma nonostante la prodezza di questo segno, di questa luce, non vi è alcuna distruzione del libero arbitrio dei magi: infatti, solo alcuni e non “tutti” i magi vengono ad adorare. È verosimile pensare che il segno fosse stato visibile, al netto delle condizioni di possibilità del fenomeno, a molti magi, ma solo alcuni aderiscono alla chiamata. Solo alcuni predispongono liberamente la luce del proprio arbitrio alla luce di quella chiamata brillante. Ancora una volta, la prima volta, come sempre, Dio lascia che sia l’uomo a seguirlo. Nessuna costrizione, nessun obbligo. Solo una luminosa meraviglia e un traguardo ancor più luminoso.

E si può essere certi di questo, poiché quando la luce della stella indicò il Cristo, ancora bambino, essi provarono una gioia grande oltre ogni limite (non una “gioia grandissima”, come riportano alcune traduzioni italiane, ché non rende dignità delle parole scelte dall’evangelista). Matteo parla di una gioia “μεγάλην σφόδρα” cioè sì grande (μεγάλην), ma di una eccedenza smisurata (σφόδρα), infinita. E quale luce possiede una “non-misura” del genere se non la luce del Cristo? Ci è legittimo immaginare che questa gioia, scaturita in modo sublime alla dolce vista del bambino «con Maria sua madre» (Mt 2, 11), fosse la stessa gioia (o amore) che li spinse a viaggiare dal lontano Oriente fino a Betlemme, con decisione. Essi, infatti, non furono incoraggiati né dagli angeli né dalle profezie, ma da ciò che, a loro, era più familiare: una stella, brillante di luce vera.

La luce, dunque, si manifesta come vero protagonista di questo passo. Non la luce in generale, non una qualsiasi, ma la luce del Figlio di Dio che è luce divina. La luce come Epifania del Signore. Questa sola luce permette che i Magi riconoscano il Dio in fasce. E, perciò, «si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2, 11).