L’insegnamento di Gesù sul Giubileo

Il seguito del racconto evangelico ci dimostra però come sia difficile raggiungere una vera apertura universale. Vi sono reazioni egoistiche e il rifiuto di aprirsi completamente. I compaesani di Gesù «erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Lc 4,22). Poi riconoscono che questo giovane profeta è un loro compaesano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». È Gesù stesso a rivelare il senso di questa domanda. Egli vede che corrisponde a un atteggiamento possessivo: sei figlio di Giuseppe, concittadino nostro, quindi ci appartieni e devi fare per noi quello che sei capace di fare (cf. Lc 4,23). A questo atteggiamento possessivo Gesù resiste decisamente. I suoi concittadini debbono sapere che «nessun profeta è ben accetto nella sua patria» (Lc 4,24) e ciò non perché la gente rifiuta a priori di credere in lui, ma perché lo stesso profeta rifiuta di mettere le proprie doti straordinarie al loro servizio e fa passare prima gli estranei! Gesù esige dai suoi concittadini questa generosa apertura di cuore. Si trattava di una difficile conversione. La gente di Nazareth non lo consentì. Non rinunciò al suo atteggiamento possessivo e quando un affetto possessivo viene contrariato e ostacolato, generalmente produce una reazione violenta. Tanti drammi sono provocati da tale sorta di reazione e anche ai nostri giorni ne siamo testimoni.