L’insegnamento di Gesù sul Giubileo

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di Leonardo Salutati · Per prepararsi a varcare la Porta Santa in occasione del Giubileo inaugurato lo scorso 24 dicembre è utile riflettere sul passo del Vangelo in cui Luca racconta la predicazione programmatica di Gesù nella Sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-30), l’unico passo in tutto il Nuovo Testamento a menzionare un anno giubilare e a metterlo in grande rilievo.

Gesù «si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me…». L’ultima espressione letta da Gesù recita: «proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19; Is 61,2) e, subito dopo, Gesù dichiara che «questa Scrittura» era adempiuta in quel giorno. L’espressione di Is 61,2 tradotta in Lc 4,19 con «anno di grazia» richiama chiaramente la legislazione del Libro del Levitico sull’anno giubilare (Lev 25,10-13). Era quindi un anno giubilare che Gesù proclamava a Nazaret, definendo così la propria missione come il compimento della profezia che lo annunziava. Per cui tutto il suo ministero va capito in questa prospettiva

Il modo in cui Luca cita Isaia presenta alcune particolarità. Dopo aver parlato di «proclamare […] ai ciechi [il recupero del] la vista», aggiunge: «rimettere in libertà gli oppressi», espressione che si ispira a un altro passo di Isaia (Is 58,6) dove viene definito il “digiuno” che piace a Dio, che non consiste in osservanze rituali ma in iniziative di liberazione: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo» (ibidem).

La conseguenza dell’aggiunta del passo di Is 58,6 è di insistere sul fatto che l’anno giubilare deve essere un anno di liberazione effettiva. Questo orientamento evangelico corrisponde perfettamente alla comprensione biblica del Giubileo in Lev 25,10, dove la liberazione era anzitutto per gli schiavi ebrei, ma comprendeva anche la remissione dei debiti. Era prescritta ogni settimo anno secondo Dt 15,1-3,12 (cf. Ger 34,13-14), ma in modo speciale dopo sette volte sette anni, cioè nell’anno del giubileo e il Vangelo riprende con insistenza questa prospettiva per caratterizzare la missione di Gesù. Il fatto non manca di essere illuminante e stimolante per la celebrazione dell’attuale Giubileo intitolato alla Speranza, che vorrebbe contribuire fortemente alla liberazione di tanti oppressi in molteplici modi.

Un’altra particolarità della citazione di Isaia in Lc 4,18-19 consiste in una omissione. Luca, cioè, non cita completamente la frase di Isaia 61,2, cita solo «l’anno di grazia del Signore» e tralascia «il giorno di vendetta del nostro Dio». L’oracolo di Isaia, cioè, prevedeva due aspetti dell’intervento divino, il primo di liberazione per il popolo ebreo, l’altro di castigo per i suoi nemici. Il Vangelo non conserva il secondo aspetto e questo ha come conseguenza che il messaggio non abbia niente di negativo e, implicitamente, abbia un’apertura universale. Non vi è distinzione tra Ebrei e non-Ebrei. Così viene preparato l’universalismo dell’annuncio evangelico, che diventerà esplicito dopo la morte e la risurrezione di Gesù con la liberazione più importante, cioè quella dai peccati: «nel suo nome sarà predicata a tutti i popoli» (Lc 24, 47).

Il seguito del racconto evangelico ci dimostra però come sia difficile raggiungere una vera apertura universale. Vi sono reazioni egoistiche e il rifiuto di aprirsi completamente. I compaesani di Gesù «erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Lc 4,22). Poi riconoscono che questo giovane profeta è un loro compaesano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». È Gesù stesso a rivelare il senso di questa domanda. Egli vede che corrisponde a un atteggiamento possessivo: sei figlio di Giuseppe, concittadino nostro, quindi ci appartieni e devi fare per noi quello che sei capace di fare (cf. Lc 4,23). A questo atteggiamento possessivo Gesù resiste decisamente. I suoi concittadini debbono sapere che «nessun profeta è ben accetto nella sua patria» (Lc 4,24) e ciò non perché la gente rifiuta a priori di credere in lui, ma perché lo stesso profeta rifiuta di mettere le proprie doti straordinarie al loro servizio e fa passare prima gli estranei! Gesù esige dai suoi concittadini questa generosa apertura di cuore. Si trattava di una difficile conversione. La gente di Nazareth non lo consentì. Non rinunciò al suo atteggiamento possessivo e quando un affetto possessivo viene contrariato e ostacolato, generalmente produce una reazione violenta. Tanti drammi sono provocati da tale sorta di reazione e anche ai nostri giorni ne siamo testimoni.

Purtroppo, non soltanto la prima parte del racconto evangelico cioè la predicazione di Gesù (Lc 4,16-21) si è rivelata programmatica, ma anche la seconda (Lc 4,23-30), cioè la reazione negativa e violenta dei suoi concittadini. Negli Atti degli Apostoli, leggiamo più volte come il successo della predicazione dell’Apostolo Paolo presso i pagani provocò la gelosia di certi ebrei che si opposero all’Apostolo e suscitarono persecuzioni contro di lui (cf. At 13,45; 17, 5; 22,21-22). Anche all’interno delle comunità cristiane, l’atteggiamento possessivo provocò seri danni. A Corinto, molti fedeli si attaccarono gelosamente a un apostolo o a un altro, con il risultato di conflitti e divisioni nella comunità (1Cor 1,10-3,23).

Sarà allora certamente di grande utilità per vivere il Giubileo nella Speranza meditare il racconto evangelico della visita di Gesù a Nazareth secondo Luca, che ci indica quali siano gli orientamenti principali dell’anno giubilare e ci mette in guardia contro certi atteggiamenti incompatibili con il suo spirito, cioè contro ogni tendenza egoisticamente possessiva e contro ogni ristrettezza di mente e di cuore. Il Giubileo nella Speranza deve essere un tempo di grande apertura di cuore per tutti, in unione con il Cuore del «Salvatore del mondo» (Gv 4,42).

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Leonardo Salutati

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