Legge sul fine vita ed eutanasia: la non soluzione al dolore dell’essere umano

di Leonardo Salutati · Nell’attuale contesto culturale, segnato da un marcato edonismo, la sofferenza può facilmente essere intesa esclusivamente in senso negativo. Essa è spesso ritenuta un male assoluto perché rappresenta il contrario del piacere. Di conseguenza, si cerca di sopprimere ogni sofferenza per via medica (dagli antidolorifici fino al caso estremo dell’eutanasia), per via religiosa (le nuove pseudoreligiosità del benessere) o per via chimica (le droghe). Più che cercare risposta alla grande domanda sulla sofferenza, l’uomo di oggi cerca spesso di sfuggirvi in ogni modo.

Le grandi religioni non condividono la visione cristiana della sofferenza e per il paganesimo, che si va sempre più diffondendo in Occidente, la convinzione di fondo corrisponde al fatalismo sull’inevitabilità del dolore e sull’impotenza a lenire la sofferenza, da ciò deriva che si cerchi di sfuggirla. Il neopaganesimo materialista lo fa stordendosi col possesso di beni e concedendosi distrazioni di ogni tipo. In questa visione il dolore appare sterile e inutile.

Di fronte a tutto ciò, la Lettera Apostolica di S. Giovanni Paolo II Salvifici doloris, dell’11 febbraio 1984, ci offre la possibilità, attraverso la visione cristiana, di interpretare e dare significato alla sofferenza dell’essere umano, sia essa fisica, psicologica o spirituale. Nonostante essa rimanga un grande mistero, grazie a Cristo crocifisso e risorto, redentore attraverso la sofferenza, essa si rivela lo strumento della redenzione, trasformandosi da effetto di un male in causa di salvezza per l’umanità (cf. SD, n.3). Il Papa ci invita a considerare che «L’uomo “muore” quando perde la “vita eterna”. Il contrario della salvezza non è, quindi, la sola sofferenza temporale, una qualsiasi sofferenza, ma la sofferenza definitiva: la perdita della vita eterna, l’essere respinti da Dio, la dannazione» (n. 14).

«Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo» (n. 19), perché la redenzione, già compiuta fino in fondo, si compie costantemente e, mediante le loro sofferenze, quanti soffrono con Cristo in un certo senso completano a loro modo la Sua sofferenza, che rimane aperta ad ogni amore che si vuole associare al Suo (cf. n. 24) e, grazie a Cristo, diventa «la più solida base del bene definitivo, cioè del bene della salvezza eterna» (n. 26).