di Francesco Romano • Giorgio La Pira in un suo libro sul valore della persona umana si domanda se è ardito affermare che la crisi contemporanea – siamo nel 1962 – ha come centro il modo di concepire la vita e la destinazione dell’uomo. Per persuadersene basta dare uno sguardo anche sommario alla più attenta “letteratura della crisi”, da Spengler a Belloc, a Daniel Rops, a Huitzinga, a Berdiaeff, a Maritain. Il tema di questa letteratura è unico: è l’uomo. La concezione dell’uomo è il perno attorno al quale si cerca di equilibrare le forze attualmente scomposte del mondo umano. Forze dell’economia, del diritto, della politica, della cultura cercano di comporsi in un equilibrio nuovo, ma questa composizione è in funzione di una determinata concezione dell’uomo.
La crisi, prima di essere politica o economica, è metafisica e religiosa, concerne la destinazione ultima dell’uomo e quindi il quadro totale nel quale si gerarchizzano e armoniosamente si compongono i valori dell’uomo.
Se la stazione di arrivo dell’uomo è terrena e il tempo e lo spazio esauriscono la storia umana, allora evidentemente si avrà un determinato quadro di valori umani e un corrispondente equilibrio di forze economiche, politiche e culturali.
Se la stazione di arrivo dell’uomo è ultraterrena, forze soprannaturali vengono inserite nell’animo umano per rafforzare e sopraelevare la capacità di azione. L’eternità è lo sfondo nel quale prende rilievo e dal quale è ordinato il quadro introduttivo dei valori temporali. Allora, evidentemente, si avrà un ordinamento di valori radicalmente diverso. In maniera radicalmente diversa saranno composte le forze economiche, politiche e culturali. Le cose del tempo saranno misurate con il metro dell’eterno.
L’aspetto della città umana, come è chiaro, in un caso o nell’altro sarà del tutto diverso. La struttura della civiltà e i muri maestri della cultura mostreranno nei due casi una ben diversa compagine. Tramonto dell’occidente o difesa dell’occidente, tramonto della cultura o difesa della cultura, non si tratta infine che del medesimo problema, cioè il tramonto dei valori ideali, tramonto del cristianesimo, inflessibile ripiegamento entro gli invalicabili confini del tempo, impossibilità di evasioni di là dagli orizzonti della terra, duro aggiornamento a un congegno meccanico di leggi economiche e politiche che non consentono diserzioni e sottrazioni di sorta.
Il problema è sempre lo stesso, o la parte migliore dell’uomo è fuori del tempo, o tutto l’uomo è chiuso nel tempo. Il problema della validità del cristianesimo e della civiltà e della cultura germinata dal cristianesimo è tutto impegnato intorno a questo preciso dilemma. L’intera problematica del cristianesimo, che coincide con l’intera problematica dell’uomo – ovvero il problema di Dio, il problema del mondo, il problema dell’uomo, il problema della società e della storia, problema teologico, metafisico, antropologico, sociologico e storico – gravita infatti ineluttabilmente a questo dilemma.
Una riprova di questa tesi si ottiene facilmente appena si considerano le principali correnti di pensiero che solcano, a datare dalla riforma, l’età moderna. Prendiamo anzitutto in considerazione le correnti originate da Hegel, si sa bene che le strutture elementari del pensiero da Marx e Engels sono mutuate nello spirito e talvolta anche nella lettera da Hegel.
Non può esserci dubbio sul fatto che tutte queste correnti poggiano sopra una determinata concezione dell’uomo, che le strutture politiche ed economiche che esse profilano sono inscindibilmente legate a tale determinata concezione, che la loro distanza dal cristianesimo viene misurata appunto con il metro del valore della persona. Non v’è dubbio che il riferimento su cui esse poggiano è Hegel, ovvero la “accidentalità” dell’individuo umano.
Quale valore dell’uomo? Valore derivato, fenomenico, ovvero il singolo non è che una proiezione dell’Idea, un “attimo” nel decorso del tempo, “un momento” nel fluire del reale; “un onda” nel perenne moto dell’oceano, “un attore” provvisorio, transeunte nel dramma storico.
Immortalità dell’anima, vita futura, responsabilità morale eterna, legge discriminatrice del bene e del male, sono domande senza significato nella dialettica di Hegel: una vita che non sia “questa” vita è inconcepibile; una immortalità che significhi accesso dall’ordine del tempo a quello che è fuori e sopra il tempo è un assurdo; una individualità che permanga dopo la morte è una illusoria costruzione mentale; una legge assoluta che discrimini la storia individuale e collettiva è qualcosa di illogico.
Bisogna abbandonare l’angolo visuale del singolo per capire il sistema di Hegel e porsi da quello dello spirito universale: ciò che è immortale – perché sempre si “riproduce” attraverso i singoli, perché attraverso i singoli sempre “diviene” – è lo spirito; la vita futura è la vita dello spirito quale si manifesterà nei singoli; il bene e il male non sono che la tesi e l’antitesi, l’aspetto positivo e quello negativo di un identico processo storico; i singoli individui con le loro pene e le loro gioie sono accidentalità nel divenire dell’Idea; accidentalità è la loro morte; essi non sono, una volta passati, che crisalidi spezzate, involucri vuoti, un irrimediabile non valore.
Le conseguenze per l’intera problematica della cultura e la civiltà umana sono che Dio trascendente e personale, come è ovvio, non esiste, è una chimera, un “relitto” dell’antica mentalità teologizzante. Il valore del mondo si risolve anch’esso in una manifestazione dello spirito, un “momento” nel processo dialettico dell’Idea.
La storia è il piano dove si risolve, senza residui, l’intera attività dell’uomo. Qui appare la “costruttività” dello spirito, la gradualità dei suoi processi: il “reale è razionale”. Tutta la storia nella trama indiscriminabile dei suoi fatti, bene e male sono qualifiche prive di valore, è il dispiegarsi logico, attraverso una dialettica di tesi e di antitesi, dell’Idea che si attua nella storia e che, in ultima analisi, con la storia si identifica.
Visione più triste non potrebbe essere fornita, quale implacabile omogeneità in questa indiscriminata trama di azioni! All’obiezione che il Regno di Dio faticosamente cerca una attuazione nonostante ogni resistenza, la risposta è che la storia stessa, nella totalità inscindibile dei suoi processi, è il Regno di Dio, la storia si identifica, senza residui, con la storia sacra.
Il cristianesimo è questa nuova carità venuta a riscaldare e a rinnovare il mondo che entra essa pure, freddamente, in questo quadro unico dell’unico processo storico che lo spirito persegue nel mondo.
L’individuo posto a confronto con lo Stato appare privo di qualsiasi valore originario, di qualsiasi anteriorità e di qualsiasi diritto naturale. Hegel esplicitamente e ripetutamente lo afferma. Lo Stato è la sostanza dalla quale l’individuo deriva totalmente il suo valore; lo Stato è una vera incarnazione del divino, la venuta di Dio sopra la terra; tutto ciò che è e tutto ciò che ha, l’individuo lo deriva dallo Stato. Da qui una serie di illazioni che costituiscono altrettanti durissimi colpi inferti alla libertà e alla personalità dell’uomo.
Quale abisso separa questa concezione antiumana dell’uomo dalla genuina concezione cristiana: in quest’ultima l’uomo è fine, nell’altra è mezzo; nella seconda tutto è fatto per l’uomo e l’uomo è fatto per Iddio, nella prima l’uomo è fatto per l’alveare, nella seconda l’uomo è libero, nella prima l’uomo è schiavo.
Ma almeno si trattasse di semplici enunciazioni teoretiche! Tutt’altro. È tutta la storia contemporanea che risente tragicamente di tali enunciazioni le quali sono state intessute nella trama degli eventi politici e sono divenute le oppressive strutture politiche collettivistiche del nostro tempo.
L’uomo privato di ogni valore è costretto duramente ad abdicare, disarmato, davanti alla potenza incontrollata e illimitata dello Stato o della razza o della classe. Quanto si è detto per Hegel si ripeta per Marx e per la sociologia positivista originata da Comte. Hegel fa scuola, e anche se mutano le parole resta inalterata la sostanza. La parentela che esiste fra Hegel, Marx e Comte è una parentela di primo grado e la misura del grado è costituita appunto dalla concezione che in essi si ritrova identica del valore, o non valore, dell’uomo!