La Risurrezione e il Giubileo della speranza

299 168 Francesco Vermigli
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di Francesco Vermigli · Nel mito di Pandora, Pandora – che ha ricevuto il dono del vaso da Zeus – lo apre per curiosità (e si dirà che anche i greci l’avevano capito che la curiosità è donna…) e ne escono tutti i mali del mondo. Pandora poi chiude tutto: e dopo il danno, la beffa. L’unica cosa che da quel vaso avrebbe fatto bene ad uscire, rimane chiusa dentro: sul fondo del vaso resta infatti la speranza (ἐλπίς), tanto che il mondo ne è privo. Ebbene, la speranza cristiana assomiglia al racconto mitologico: la speranza c’è già, è già presente, è un dono che già possediamo, ma che – come nel caso del vaso di Pandora – chiede di esser fatta uscire.

In cosa allora consiste questa speranza cristiana che c’è già, che è presente, ma che deve esser fatta uscire? La speranza cristiana è un’ancora (cf. Eb 6,18-19 ripreso in Spes non confundit, 25), che in verità non poggia sul fondo del mare; la speranza cristiana è un’ancora che si aggancia ad un sepolcro vuoto. Vogliamo provare a definire – in una maniera che cercherà di essere il più semplice e ordinata possibile – che cosa sia e che cosa rappresenti la Risurrezione di Gesù: si direbbe, che proveremo prima a dire che cosa sia in sé – cosa riveli di se stessa – e poi cosa significhi la sua Risurrezione per la nostra vita.

Ribaltando un celebre modo di dire, possiamo affermare con sicurezza che “chi muore non si rivede”… Si tratta di una costatazione facilissima da fare nella nostra esperienza, infatti: chi muore – per usare un gioco di parole – “ordinariamente” è morto. Qui “ordinariamente” indica la naturalezza della cosa e la sua inevitabilità: tanto che se qualcuno ci chiede di andare a trovare un morto, quel morto lo cerchiamo tra i morti; cioè, tra le tombe e i sepolcri, tra i fiori appassiti di un cimitero e le lapidi spesso tutte uguali. Ci verrà scusata la banalità di quello che andiamo dicendo (o forse, si tratta di un modo per presentare davvero semplicemente le cose per come stanno…), ma è che quello che facciamo noi ancora oggi se vogliamo cercare un morto, lo fecero anche i discepoli e le donne che avevano fatto esperienza della missione e della vita pubblica di Gesù: tra i morti lo andarono a cercare, in un sepolcro lo andarono a ricordare e a venerare.

«Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5): è il versetto che ci invita a cambiare prospettiva e a cambiare sguardo; perché – come accadde ai discepoli e a quelle donne – anche a noi è richiesto di andare a cercare altrove, ad abbandonare l’ordinarietà e la scontatezza di quello che accade nella vita di ogni giorno. Perché, se non fai questo, non potrai mai incontrare il Cristo Risorto: se resti davanti ad un sepolcro, Gesù non lo vedrai e non lo incontrerai, perché non è il luogo consono in cui andarlo a cercare. C’è un prete che conosco che ha preso da tempo ad andare ogni anno in un cimitero il Sabato santo e a dire dentro di sé ai morti: “tu domani risorgerai!”. Si dirà che loro lo sanno già che risorgeranno e che forse nell’eternità (dove non c’è un prima o un dopo…) si potrà anche affermare che sono già risorti (è una questione cha avrebbe bisogno di più attenzione “teologica”, ma la lasciamo qui, gettata sulla pagina senza ulteriori approfondimenti…). Ma quel gesto di andare tra i sepolcri il giorno precedente a quello che celebra la Risurrezione di Gesù, vuol indicare che tutto quello che in un cimitero si vede e si sente (un senso di mestizia e di ineluttabilità) è destinato ad essere trasfigurato nella luce di un nuovo inizio.

Ebbene sì! La Risurrezione è un nuovo inizio; è un fatto inaudito, perché non coerente con quello che accade solitamente nel mondo, che è il mondo dei mortali. La Risurrezione è come una nuova creazione, che indica con una chiarezza assoluta che solo Dio la può attuare: perché solo Dio ha la capacità di produrre qualcosa dal nulla; perché dal nulla non nasce nulla e se nasce qualcosa vuol dire che è intervenuto Dio. Così accade infatti con la Risurrezione che consiste nel far tornare alla pienezza della vita a partire dal nulla della morte.

Il profilo della Risurrezione confidiamo che stia venendo a chiarirsi via via. Essa scardina l’ordinarietà della realtà, perché segnala l’intervento della potenza di Dio. Ma c’è un altro aspetto che deve essere ricordato, qualcosa che ci permette di compiere un atto in più rispetto a quello che abbiamo già detto. Lo facciamo rievocando un versetto degli Atti degli Apostoli. Nel secondo capitolo, Luca applica alla vicenda di Gesù un salmo: «perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione» (At 2,7 che cita Sal 16,10). Abbandonare indica almeno indifferenza, se non addirittura disprezzo. Non abbandonare, al contrario, indica cura, vicinanza, preoccupazione, sollecitudine. Ecco in cosa consiste l’aspetto ulteriore cui accennavamo sopra: non abbandonare alla morte è un segno dell’amore traboccante del Padre per il Figlio; secondo l’insegnamento del libro della Sapienza che dice: «Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (Sap 11,26).

Straordinarietà, onnipotenza divina, amore traboccante: questi sono i concetti e le parole fondamentali che ci vengono presentate dal mistero di vita che è la Risurrezione. Ed è questo il significato fondamentale della Risurrezione per la speranza cristiana in questo Giubileo: indica che un nuovo orizzonte è possibile, frutto della potenza e dell’amore di Dio. Anzi indica che questo nuovo orizzonte c’è già: che questa nuova possibilità di vita e di amore e di potenza, c’è solo da farla diventare presente nella nostra esistenza. Chiede di essere fatto uscire; come accade nel mito del vaso di Pandora.

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Francesco Vermigli

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