di Antonio Lovascio · Al Cremlino stappano champagne per questa inaspettata “riabilitazione” e per la ruvida postura di Trump nei confronti di Zelensky, arrivata al punto di sospendere gli aiuti militari a Kiev. Hanno esultato fin da quando “Re Donald” ha proclamato che l’Unione europea “si è formata “ non per garantire la pace o favorire lo sviluppo economico nel Vecchio Continente, bensì “per fregare gli Stati Uniti”. Annunciando che “l’America applicherà dazi del 25% sulle importazioni europee, senza distinzioni” (un messaggio alla nostra silente e allo stesso tempo ondivaga presidente del Consiglio, che pur definisce “amica” ?) il nuovo Capo della Casa Bianca ha confermato la sua strategia neoimperialista, quasi non bastassero quelle di Mosca e Pechino. Nella sua visione – alimentata sovente dall’Intelligenza Artificiale, dalla nefanda e spregiudicata “fantasia” del re degli oligarchi, Elon Musk – tutto si mescola: dazi, diplomazia, guerre. Seguendo la logica di fare accordi per monetizzare dove è possibile. Financo sulla pelle dei palestinesi, prospettando – con il supporto di scioccanti video – di trasformare la Striscia di Gaza in una sorta di Costa Azzurra mediorientale. E su quella degli ucraini volendo obbligare Zelensky (umiliato come uno zimbello in una rissa in diretta tv) a trattare sullo sfruttamento delle “terre rare” dell’Ucraina come rimborso per le armi fornite in questi tre anni, salvo poi bloccarne l’aspirazione ad entrare nell’Alleanza Atlantica, che sarebbe “la causa di tutto quello che è successo”. Vale a dire il motivo – sostenuto da Putin, così “reintegrato” dal successore di Biden – che giustifica l’invasione di tre anni fa. Invasione negata anche in documenti votati all’Onu, sottoscritti insieme da Usa e Russia. Premessa di un prossimo vertice Trump-Putin, non solo per parlare di pace (sarà mai giusta ?) per Ucraina e Gaza, ma soprattutto per stabilire i nuovi confini di un ordine post-occidentale, relegando l’Europa ad una posizione marginale. Creandole altresì con le tasse tutte le condizioni di subire un’autentica guerra commerciale.
Se la Ue vuole reagire agli schiaffi di Trump, superando una ormai fin troppo evidente irrilevanza, deve ricompattarsi attorno a un ruolo autonomo. Trovare un proprio spazio e una nuova identità riformatrice tra il sovranismo distruttivo e l’europeismo conservativo, tessendo nella nuova realtà transatlantica, un rapporto forte con la Gran Bretagna assai sensibile al tema della difesa comune. La spinta non può venire che dai principali Paesi fondatori dell’Unione: Italia, Francia e naturalmente la Germania, soprattutto con l’avvento del cancelliere in pectore Friedrich Merz, leader dei Cristiano-democratici; un europeista convinto che a Bruxelles – se riuscirà a formare a Berlino un governo di coalizione con la Spd emarginando l’ultradestra – dovrebbe rafforzare la fragile guida di Ursula von der Leyen.
La strada da percorrere l’ha indicata chiaramente e con forza Mario Draghi: l’Europa senza indugi deve trovare una propria centralità geopolitica e agire “come se fosse un unico Stato”. Perché, come ha sottolineato l’ex presidente della Bce ed ex premier nel suo discorso davanti al Parlamento europeo, la complessità della risposta politica che coinvolge ricerca, industria, commercio e finanza richiederà un livello di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo. Questa risposta deve essere rapida, dal momento che l’economia europea ristagna mentre gran parte del mondo cresce. La risposta deve essere poi commisurata alla portata delle sfide (per il rilancio della Ue sono necessari investimenti per almeno 800 miliardi di euro all’anno). E deve essere focalizzata sui settori che guideranno un’ulteriore crescita. “Velocità, scala e intensità saranno essenziali”. Velocità indispensabile, mentre la Russia tenta di ripristinare una normalizzazione dei rapporti con gli Usa (con abbattimento delle sanzioni?) proponendo la ripresa dei voli diretti Mosca-Washington.
E a proposito di conflitti in corso ai confini europei, Draghi non ha nascosto che – se le recenti dichiarazioni arrivate dagli Usa delineano il nostro futuro – possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa. L’Ue è stata creata per garantire pace, indipendenza, sicurezza, sovranità e poi sostenibilità, prosperità, democrazia, la giustizia. In questi anni, pur tra mille incertezze, è riuscita a garantire tutto questo. Ma ora il mondo confortevole è finito. Per difendere i valori fondamentali della sua esistenza i 27 Paesi che ne fanno parte devono rendersi conto che “non si può dire no a tutto”. Tradotto in parole semplici: il meccanismo dell’unanimità di voto sui vari dossier va cambiato.
Non c’è alcun dubbio: davanti allo scenario disegnato dalla strategia trumpiana che sta mettendo in pericolo anche la democrazia americana, tutto dipenderà dalla tenuta delle istituzioni che hanno caratterizzato l’Occidente politico del secondo Dopoguerra e dalla capacità dell’Europa di proporre un’alternativa seria al liberalismo egemonico imposto dagli Stati Uniti. Certo, l’Italia deve fare la sua parte, non limitarsi a fare il “pesce in barile” per il timore di contraccolpi.