di Andrea Drigani · Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII, raccontava, quand’era Visitatore Apostolico in Bulgaria, di un colloquio con un vescovo ortodosso il quale notò che il peccato che non verrà mai perdonato, cioè quello contro lo Spirito Santo, era quello della divisione della Chiesa.
Memore forse anche di questo, San Giovanni XXIII si impegnò fortemente per l’azione ecumenica ed in particolare nel rapporto con l’Oriente Cristiano.
Impegno proseguito da San Paolo VI, che abrogò la scomunica al Patriarcato di Costantinopoli, e si incontrò a Gerusalemme col Patriarca Atenagora.
Tale opera di avvicinamento alle Chiese Orientali è continuata da San Giovanni Paolo II che, tra l’altro, parlò esplicitamente, più volte, dei due polmoni (la tradizione orientale e la tradizione latina) con i quali deve respirare la Chiesa.
La storia delle relazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli e le connesse Chiese orientali, è stata, però, una storia difficile, accidentata, a tratti drammatica, anche perché collegata ai potentati civili e militari che hanno ingarbugliato e aggravato la situazione.
Gli scismi del patriarca Fozio dell’867 e del patriarca Michele Cerulario del 1054, avvennero in contesti teologici non del tutto chiariti, sulla base di una reciproca avversione istituzionale e politica.
In questo contrasto vi è pure l’episodio del Sacco di Costantinopoli del 1204, oggetto di studio di un recente volume (Marina Montesano, «Dio lo volle? 1204: La vera caduta di Costantinopoli», Salerno Editrice, Roma).
La quarta crociata, indetta da papa Innocenzo III il 15 agosto 1098, ebbe uno strano e assurdo percorso, per il quale Innocenzo III, come si è scritto, passò da forte ispiratore e spettatore senza potere.
Infatti alla ricerca spasmodica di finanziamenti per la crociata, che vedeva tra i principali protagonisti la Repubblica di Venezia, non si andò in Terrasanta a battagliare contro i musulmani, bensì si fece guerra a delle popolazioni cristiane.
La crociata deviò nel 1202, prima verso la città di Zara, in Croazia, sotto il Regno d’Ungheria, la cui presa fu sanguinosa e distruttrice e poi verso Costantinopoli, in un momento critico per l’Impero bizantino, dove per motivi di natura economica e con la scusa di promesse non mantenute, nell’aprile 1204, la città venne per tre giorni sistematicamente saccheggiata alla ricerca di ricchezze, tesori e reliquie, con violenze di ogni tipo comprese le profanazioni agli edifici sacri, chiese e monasteri.
Lo storico bizantino Niceta Coniata che assiste al Sacco, descrive la condotta perversa degli assalitori, ma imputa all’autorità imperiale la causa prima del disastro: «La negligenza e l’inazione di coloro che governavano lo stato dei Romani portarono da noi i pirati come fossero giudici e castigatori».
Il libro della Montesano parla anche della caduta di Costantinopoli del 1453, ad opera dei Turchi, dovuta al debolissimo aiuto dell’Occidente e all’opinione pubblica greca che non era disposta ad accettare l’imposizione del primato latino.
Ci può, dunque, essere un filo che lega le due cadute del 1204 e del 1453, che segnarono una grave ferita alla Cristianità, che, con l’aiuto degli ultimi Santi Papi, si sta cercando di rimarginare.