Una teologia «popolare». Intervento del card. Fernández alla Pontificia Università Lateranense.

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di Alessandro Clemenzia · «Si può parlare ancora di popolo?» con questo interrogativo il prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, il cardinale Vittorio Manuel Fernández, in un intervento alla Pontificia Università Lateranense (21 febbraio 2024), ha introdotto un’interessante e provocante riflessione sul significato, per la Chiesa odierna, di “una teologia per il popolo”.

Come mai tale interrogativo? Il cardinale argentino ha spiegato come ancora oggi l’uso del termine “popolo” faccia nascere, anche in ambito ecclesiologico, una certa titubanza, in quanto soprattutto in epoca postconciliare esso è stato più volte interpretato secondo un’accezione politica e sociologica. Eppure si tratta di una parola ricca di significato teologico, come viene attestato dalla Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa, in assenza della quale sarebbe molto difficile comprendere l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, come anche entrare nel pensiero di Papa Francesco. Ha affermato il prefetto: «Credo, infatti, che ci siano proposte di Papa Francesco che non vengono comprese proprio perché non si percepisce il senso profondo di questa idea generale di “popolo” che sta dietro a molte sue affermazioni e proposte, anche se, per evitare qualsiasi riduzionismo sociologico o politico, egli preferisce parlare del “santo popolo fedele di Dio”».

Non si può comprendere l’Antico Testamento senza tenere conto del fatto che l’interlocutore di Dio è sempre un popolo, che trovava nel rapporto con Lui la propria identità più profonda. Un soggetto comunitario, che vive ormai della novità dell’incontro con Cristo, continua ad avere la sua decisiva importanza anche nel Nuovo Testamento: si tratta della Chiesa; quest’ultima, spiega Papa Francesco in Evangelii gaudium, «è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale […]  Dio ha dato origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di convocarli come popolo e non come esseri isolati […]  ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana» (EG 111.113).

Per questa ragione, sia i diversi riduzionismi politici e sociologici da un lato, sia alcune derive individualistiche dall’altro, non possono impedire alla riflessione ecclesiologica di assumere la nozione di “popolo”. Quest’ultimo, infatti, si presenta come una realtà (sempre al singolare) corporativa, capace di trascendere i singoli individui che la compongono: non si tratta del risultato della somma di singole azioni compiute individualmente, ma di un evento di grazia che emerge proprio lì dove le persone sono rese capaci di relazionarsi tra loro nel nome di Cristo. Ha affermato il prefetto: «La nozione di “popolo”, congiunta a quella di “corpo”, richiama l’idea di un cammino che si fa insieme, di una realtà comunitaria dinamica e pellegrina che in qualche modo condivide un medesimo progetto”». Al tempo stesso, l’identità del popolo non elimina la peculiarità di ciascuno dei suoi membri, ma anzi: ne valorizza le sue specificità.

Il popolo è anche il luogo all’interno del quale risuona il Vangelo. Afferma Papa Francesco: «Quando parliamo di popolo non si deve intendere le strutture della società o della Chiesa, quanto piuttosto l’insieme di persone che non camminano come individui ma come il tessuto di una comunità di tutti e per tutti, che non può permettere che i più poveri e i più deboli rimangano indietro: Il popolo vuole che tutti partecipino dei beni comuni e per questo accetta di adattarsi al passo degli ultimi per arrivare tutti insieme» (ChV 231).

È necessaria, dunque, una teologia “popolare”, e non “costruita a tavolino”, capace cioè di comprendere le dinamiche più profonde che vive il popolo nell’attuale momento storico. Per far questo, la teologia è costantemente chiamata a interfacciarsi con altre scienze per «riconoscere e interpretare le mega tendenze popolari. Pertanto, ci vogliono risorse sia quantitative che qualitative che coinvolgano scienze diverse che possono aiutare a comprendere le dinamiche popolari, e quindi a creare strategie di pastorale popolare che possano arrivare a tutti». Si tratta di quella dinamica interdisciplinare e transdisciplinare che sono costitutive della teologia.

Per questa ragione, spiega ancora Fernández, i teologi sono chiamati non a inventare una nuova Rivelazione, ma, alla luce del Vangelo, a illuminare e a orientare il popolo, soprattutto quando si trova a vivere la complessità della vita quotidiana. «Una teologia per il popolo è una teologia che crea popolo, perché da qualsiasi riflessione sul Vangelo fa scaturire una motivazione per creare ponti fra gli uomini, per unire le persone, per farle uscire da sé stesse e nutrire diversi legami, per abbandonare l’autoreferenzialità e unirsi dietro a un progetto comune, illuminato da Cristo».

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