Sanità e Scuola, disuguaglianze dietro l’angolo delle Riforme
di Antonio Lovascio · L’Europa sollecita l’Italia ad attuare le riforme, a partire da quelle previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (quindi fisco, catasto, lavoro e concorrenza) ma per il governo Meloni, essendo ormai di fatto in corso la campagna elettorale delle Europee e delle Amministrative del prossimo giugno, sembrano essere altre le priorità. Più che su innovazioni utili e incisive, si punta su simboli identitari. La Lega ha imposto un’accelerazione sull’Autonomia differenziata (già passata al Senato ed ora alla Camera) che se approvata aprirà le porte ad un Referendum popolare, tanto è contestata. E ora la maggioranza, spinta da Fdi, prova a procedere spedita verso un’intesa sui correttivi al Premierato suggeriti dai costituzionalisti. Le tante audizioni, una cinquantina (l’ultima, forse la più lunga, del professore Sabino Cassese) hanno evidenziato vari punti di criticità nella riforma costituzionale. I giuristi interpellati per metà circa hanno bocciato l’intera riforma, denunciando uno stravolgimento della Costituzione con una proposta incompatibile con l’attuale impianto ispirato alla democrazia parlamentare, mentre un’altra metà ha segnalato, pur ritenendo compatibile la proposta dell’elezione diretta del premier, alcuni correttivi significativi da adottare assolutamente. Non sarà comunque facile trovare la quadra, pur con il supporto di insigni giuristi che hanno già dato suggerimenti per non alterare gli equilibri e le competenze del Capo dello Stato e fissare nella legge elettorale una soglia minima per far scattare il premio di maggioranza, attualmente fissato al 55%.
Ancora maggiore è la preoccupazione che l’Autonomia differenziata possa allargare eventualmente le disuguaglianze tra le parti del nostro Paese, il quale ha una naturale vocazione all’unità pur nella diversità. La stessa Costituzione, del resto, esorta a rimuovere gli ostacoli per una uguaglianza sostanziale tra i cittadini, in modo che a tutti sia dato il necessario per usufruire dei propri diritti. Territorialmente l’Italia – lo ha fatto notare la Conferenza Episcopale Italiana – è già differenziata nelle potenzialità. Basti pensare al divario tra Sud e Nord. “Occorre quindi attuare misure di solidarietà perché chi nasce in un territorio non abbia motivo per non soddisfare i propri diritti”. La riforma rischia invece di incidere pesantemente su Sanità pubblica e Scuola. Il Servizio sanitario nazionale attraversa una gravissima crisi di sostenibilità e il sotto-finanziamento costringe anche le Regioni virtuose del Nord a tagliare prestazioni e/o aumentare le imposte per scampare al piano di rientro. E guardando alla crescita economica del Paese, all’impatto atteso del nuovo Patto di stabilità ed all’assenza di misure concrete per ridurre evasione fiscale e debito pubblico , non ci sono risorse per rilanciare il finanziamento pubblico della sanità (con beneficio per le strutture e cliniche private) né tantomeno per colmare le disuguaglianze regionali. La maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale provocherà inevitabilmente una fuga dei professionisti sanitari verso le aree più ricche, in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose. Inoltre con l’Autonomia differenziata le Regioni potranno trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più redistribuito su base nazionale, impoverendo ulteriormente il Mezzogiorno.
Anche la Scuola, con l’Autonomia differenziata, corre il rischio di doversi organizzare a più velocità. Ha già provato il ministro Valditara a gettare il sasso nello stagno, parlando di stipendi diversi per gli insegnanti a seconda della regione di residenza, ma è stato sommerso da un’ondata di critiche. Forse avrà compreso che l’autonomia differenziata applicata alla scuola è un terreno più che scivoloso e pressoché impraticabile. Ma il pericolo incombe.
Dicono i sostenitori della nuova legge in itinere che è tutto previsto dalla Carta costituzionale, che da tempo attenderebbe venisse attuata in quel principio più largamente affermato nelle cinque regioni autonome. Ed è forse davvero così. Costoro, però, dimenticano, che la Costituzione – prima, durante e dopo quell’articolo – parla dell’eguaglianza autentica fra tutti cittadini e prescrive che sia lo Stato a garantire l’effettiva parità. In tanti ancora scordano che la bellezza della nostra Costituzione è nella inscindibile unità tra autonomie e solidarietà, tra libertà individuale e azione sociale, tra ricchezza individuale e ricchezza complessiva, tra singoli territori e unità territoriale. Tra regioni e nazione. Tra comuni e Stato, tra pluralismo e compattezza. Dimenticano che al centro di ogni divenire sociale c’è la persona, non l’individuo singolo privo di tutto quel corredo umano che fa l’uomo l’essere speciale che è.
Chi in Parlamento sostiene che la riforma dovrebbe garantire una migliore aderenza tra servizi ed esigenze specifiche dei territori, farà bene a tener conto – soprattutto per quanto riguarda il tema delicato della Salute – dell’invito al buonsenso del cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin: “ Bisogna che si raccordino da un lato cura, diritti e dignità dei malati; dall’altro progetti di autonomia perché ne va della dignità della persona e del suo benessere totale, fisico e spirituale. Qualsiasi organizzazione si possa pensare, bisogna mettere alla base questi principi, altrimenti fallisce”.