Ravenna: una culla dell’Europa. Riflessioni dal libro di Judith Herrin

di Andrea Drigani · «Carlo Magno è tradizionalmente definito il padre dell’Europa, secondo le parole di Alcuino, come se avesse agito da solo. Ma le basi del cristianesimo occidentale da lui incarnato furono poste a Ravenna, i cui governanti, esarchi e vescovi, gli studiosi, i medici, gli avvocati, i mosaicisti e i commercianti, prima romani e goti, poi greci e longobardi, forgiarono la prima città europea».

Così si conclude il volume : «Ravenna. Capitale dell’impero, crogiolo d’Europa», recentemente ristampato da BUR-Rizzoli, scritto da Judith Herrin, archeologa e accademica britannica, specializzata in studi bizantini, professoressa emerita del Dipartimento di studi classici al King’s College di Londra.

L’Imperatore Romano d’Occidente Onorio (che regnò dal 395 al 423) decide, nel 402, di spostare da capitale dell’Impero da Milano a Ravenna, facendo iniziare per questa città una storia nuova e originale, nella quale si realizza gradualmente un crogiolo, un confronto e un incontro tra varie tradizioni culturali e religiose sia dentro la «romanitas», nella duplice articolazione latina e bizantina, che nella cristianità non solo ortodossa, ma pure ariana e monofisita, ed infine il rapporto con le tribù germaniche, cioè i Goti distinti in vari popoli.

Il volume della Herrin si sofferma sul grande ruolo di Galla Placidia, sorellastra di Onorio, per la crescita di Ravenna in questa dimensione imperiale, cioè universale, cercando di armonizzare le diverse e forse contrastanti realtà, da collocare comunque in dimensione «romana» nel senso di «Roma communis nostra patria est».

Nell’ambito di una «Romana civilitas» si muove pure Odoacre, che depone, nel 476, a Ravenna, l’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo, ma invia le insegne imperiali all’imperatore romano d’Oriente, Zenone, dichiarando di costituire un potere autonomo, ma sempre sotto l’autorità imperiale, sedente a Costantinopoli, riservando per sé il titolo di «patricius».

Questa concezione della primazia, non tanto della supremazia, della potestà universale «romana», continua con Teodorico il Goto, re ariano di Ravenna dal 493 al 540, che si ritenne «rex», non «imperator», formalmente rispettoso della corte di Bisanzio, che attraverso il suo «Edictum» costituì il quadro giuridico per la convivenza pacifica delle popolazioni italoromane e gote dell’Italia del VI secolo.

Anche da un punto di vista religioso Teodorico cercò di mantenere un’armonia, tra i cristiani, e favorì pure la tolleranza nei riguardi degli ebrei.

Pure la figlia di Teodorico, Amalasunta, continuò questa eredità politica e legale.

Dopo la sconfitta definitiva dei Goti, l’imperatore Giustiniano emise una Prammatica Sanzione per ricostituire un governo funzionante in Italia con sede Ravenna. Fu la conferma dell’esarcato, che aveva fatto di Ravenna l’avamposto di Costantinopoli in Occidente.

Giustiniano, ribadì la validità delle leggi emanate da Teodorico ed Amalasunta, ed ordinò la diffusione del suo «Codex» e delle sue nuove leggi («Novellae»).

Alla fine del VI secolo Ravenna viene conquistata dai Longobardi, tribù d’origine germanica, ma che avevano adottato la lingua latina, ma sarà Carlo Magno, Sacro Romano Imperatore, che occupando Ravenna, pone, fine, ma non del tutto alla sua storia «imperiale».

Judith Herrin, nel suo libro, si sofferma anche sulle vicende della Chiesa di Ravenna, con le figure dei vescovi San Pietro Crisologo e Massimiano, nonché sull’arte paleocristiana bizantina con i suoi mosaici, che trova la sua sintesi meravigliosa nella Basilica di San Vitale.

«Crogiolo d’Europa» è il sottotitolo che la Herrin ha dato al suo saggio su Ravenna, che potrebbe indicare nella tradizione romano-cristiana, comprese tutte le varianti, un minimo comune denominatore per stare e vivere in Europa.