Quei martiri del Vangelo profeti di pace (che oggi non c’è)

500 500 Antonio Lovascio
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di Antonio Lovascio · E’ doveroso farne memoria 80 anni dopo quelle terribili stragi ad opera del nazifascismo. Sono le nostre radici e quelle di numerose comunità: “i martiri del Vangelo, amici del popolo, testimoni di fraternità, profeti di pace” accomunati nella lapide commemorativa inaugurata e benedetta il 7 agosto nel Palazzo Arcivescovile di Lucca dal presidente della Cei card. Matteo Zuppi. In essa sono incisi i nomi dei 28 sacerdoti, frati, seminaristi – con in testa il leggendario parroco di Pescaglia don Aldo Mei – uccisi in Lucchesia ad opera del reparto tedesco forse più violento degli altri. Il numero più alto di religiosi sterminati in una provincia d’Italia; dove complessivamente, secondo un martirologio pubblicato nel 1963 dall’Azione Cattolica, la lista è lunga 729 nomi. Mai nella storia della Chiesa italiana sono stati uccisi così tanti preti come nella Seconda guerra mondiale sotto le bombe dei raid aerei, sui campi di battaglia, fucilati nelle rappresaglie ordinate da Hitler e Mussolini, trucidati dai partigiani, in odio alla fede.  Su 729 morti, 148 cappellani militari, 49 nei campi di sterminio, 30 dispersi; 279 sotto i bombardamenti, più di 129 seminaristi e novizi. Durante la Resistenza (settembre 1943-primavera 1945) hanno perso la vita 400 sacerdoti diocesani e religiosi: 191 torturati e uccisi dai fascisti; 120 dai tedeschi; 33 dai repubblichini di Salò. Perché soprattutto al Nord e nelle regioni del Centro molti hanno scelto la libertà, la democrazia, la resistenza. Più vittime religiose che in Germania: qui i nazisti avrebbero ammazzato 204 preti (164 diocesani e 60 religiosi), numerosi nei campi di sterminio. Sono tutti profeti di pace, come recita la lapide lucchese, di una pace che abbiamo ma di una pace che purtroppo oggi manca in tante parti del mondo (soprattutto in Ucraina, Israele e Palestina) e che dobbiamo costruire come quotidianamente incita Papa Francesco.  

Insieme a questi martiri, dobbiamo però ricordare anche chi ha contribuito in questi ottanta anni a coltivare – con testimonianze dirette, ricerche e scritti – l’esercizio della memoria. Raccontando le proprie terribili esperienze, recuperando dagli Istituti storici, dagli archivi civici, diocesani e parrocchiali tante nobili storie, documenti che hanno immortalato esemplari atti di coraggio. Da non dimenticare. Sappiamo quanto si è speso nel dopoguerra fino alla sua scomparsa (nel 1978) il prete originario di Schio don Roberto Angeli, nel trasmettere alle nuove generazioni ciò che ha visto e subito a Villa Triste, nei lager di Mauthausen e Dachau per aver incoraggiato alla Resistenza attiva diversi giovani cattolici livornesi e salvato ebrei e prigionieri politici in Toscana. Sul piano della testimonianza e formativo non meno prezioso è stato il contributo di don Arturo Paoli finchè è rimasto in vita (si è spento nel febbraio 2015 ) dopo un fecondo servizio missionario in Argentina, Brasile e Venezuela. Negli anni della dittatura fascista aveva fatto della Casa degli Oblati uno dei luoghi simbolo della resistenza civile a Lucca, ospitando il CLN e soprattutto svolgendo un’inesausta azione di assistenza alla popolazione e di accoglienza dei perseguitati, in particolare ebrei. E per questo nominato il 13 Novembre 1999  “Giusto tra le Nazioni”.

Fondamentale per l’insegnamento nelle Scuole e nelle Università è stato il monumentale lavoro di ricerca svolto da Luciano Casella, solo in parte confluito nel volume “La Toscana nella guerra di liberazione” pubblicato nel 1972 dalla Casa Editrice “La Nuova Europa” e riproposto in lingua inglese nel 1983 con la prefazione di Lelio Lagorio. In un’ampia carrellata c’è quanto è avvenuto lungo la Linea Gotica, la poderosa opera difensiva fortificata costruita dall’Esercito tedesco nelle fase finali della Campagna d’Italia, che si estendeva per 320 km da Massa-Carrara a Rimini lungo il crinale Appenninico. Da questa ricostruzione hanno preso spunto molti interventi nel convegno su “Il Clero toscano nella Resistenza” tenutosi a Lucca dal 4 al 6 aprile 1975 per iniziativa dell’allora arcivescovo monsignor Giuliano Agresti e del laicato cattolico, sulla spinta di don Roberto Angeli e del domenicano di Santa Marzia Novella padre Reginaldo Santilli, che con il confratello di San Marco padre Cipriano Ricotti tanto si era battuto in difesa di vite e diritti umani contro le viltà del regime. Un convegno, quello lucchese, preparato con rigore scientifico grazie alla documentazione offerta dagli archivi diocesani. Tra cui quello del card. Elia Dalla Costa (anche lui insignito da Israele della medaglia di “Giusto tra le Nazioni” insieme a Gino Bartali) che a Firenze creò un rete clandestina di contatti riuscendo così a salvare centinaia di ebrei toscani dalla persecuzione nazista esplosa dopo l’occupazione nel 1943. Partendo dal convegno lucchese, grazie all’impegno di studiosi come Bruna Bocchini Camaiani e Pierluigi Ballini ( lo storico allievo di Spadolini che più di tutti ha esplorato la figura di Alcide De Gasperi) sono proseguiti – con il coinvolgimento di una più ampia schiera di ricercatori – ulteriori approfondimenti per consegnare la verità prima di tutto ai giovani a cui deve essere riconosciuto il diritto della conoscenza. Mentre dopo l’apertura nel 2020 dell’Archivio Apostolico Vaticano, a firma di Andrea Riccardi, oggi è possibile leggere l’analisi e l’interpretazione di un nodo rilevantissimo della storia del Novecento: l’atteggiamento della Santa Sede e dei Vescovi nei confronti del nazifascismo, il ruolo e i “silenzi” di Pio XII. “Un atteggiamento prudente, imparziale” , secondo uno degli storici più accreditati sulla materia. E per meglio chiarire il suo pensiero e stimolare la comprensione, Riccardi invita a guardare l’attualità: “Del resto, vediamo anche oggi le difficoltà di un papato tra Russia e Ucraina e di come la Chiesa debba utilizzare una certa prudenza quando parla di Paesi autoritari nei quali i cristiani possono essere un ostaggio. La condizione del Papa in una guerra mondiale è assolutamente drammatica, certo. E quello che voglio fare con il mio libro è uscire dal dibattito polemico e provare a capire cos’era il Vaticano allora: una barchetta nei marosi della guerra, l’unico spazio non nazista in un’Europa occupata dai nazisti”. Nella tragedia la Chiesa ha fatto il suo dovere e spesso azione di supplenza ai comportamenti delle Istituzioni civili. Con innegabile coraggio, pagato con la vita di tanti “martiri del Vangelo”.

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Antonio Lovascio

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