Una campagna elettorale tra le più deludenti, non ci ha fatto comprendere quale direzione voglia pendere l’Europa dopo il voto di giugno. Se i 27 Paesi del Vecchio Continente, con 450 milioni di abitanti, che hanno scelto liberamente di mettersi insieme per formare l’Unione voluta dai Padri Fondatori, siano consapevoli che, come si è fatto per uscire dalle pandemie, occorre cambiare registro e passo per fronteggiare un’America confusa, una Russia invadente e belligerante, una Cina sempre più espansiva, le incessanti migrazioni dall’Africa e dal Medio Oriente, e soprattutto avere un ruolo di mediazione autonomo ed autorevole per porre fine al massacro di vite umane in Ucraina, a Gaza e Israele, ben sapendo che le ultime guerre mondiali hanno portato immense distruzioni e morte. L’Europa deve insomma tornare a far sentire la sua voce, così da stabilire nuovi equilibri e relazioni internazionali.
Dall’Osservatorio italiano, non ci pare di vedere che gli Stati e le coalizioni politiche in campo abbiano avviato una seria riflessione sulle molte criticità segnalate e sulle soluzioni suggerite dall’accorato appello dei Vescovi europei, firmato dal card. Matteo Zuppi e da monsignor Mariano Crociata. Perché l’UE sia un organismo vivo, è giunto il momento per nuove riforme istituzionali che la rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Non può essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare realtà così complesse come quella che è diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione. Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio la Commissione di Bruxelles ha accompagnato alcuni Paesi – tra questi l’Italia – a superare le crisi economiche più acute, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando si smarrisce il senso dello stare insieme, la visione di un futuro condiviso, o si fa resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita, a dispetto di chi predica nazionalismi e sovranismi.
L’Italia in questa campagna elettorale non ha dato il buon esempio. I partiti al governo non ci hanno fatto capire che scelte faranno in tema di alleanze al Parlamento di Strasburgo e per la Commissione esecutiva; quelli della cosiddetta opposizione continuano a marciare in ordine sparso. Tutti hanno lucrato sul voto, una pessima gara nel cercare con slogan e proposte illusorie di raccogliere più consensi, non affrontando seriamente nemmeno il problema inquietante della dilagante corruzione e della legalità. Eppure l’ultimo rapporto Istat ha ben fotografato in che condizioni si trovi il nostro Paese. Rivelando che, dietro alcuni dati economici positivi (sarebbe ingiusto sottovalutarli), si nascondono grandi fragilità, profonde disuguaglianze sociali e territoriali, ritardi che emergono soprattutto nel confronto con altri Paesi europei. Sul piano demografico l’Italia ha perso oltre 3 milioni di giovani nell’arco di vent’anni, mentre negli ultimi trent’anni gli anziani gli over 65 sono aumentati del 54,4%. Il fenomeno è particolarmente grave nel Mezzogiorno perché si sommano denatalità e ripresa dei flussi migratori in uscita. Il Pil reale è tornato ai livelli del 2007 – l’anno della grande crisi finanziaria – soltanto alla fine del 2023. Ma intanto si è accumulato un divario negativo di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, di 14 con la Francia e di 17 con la Germania. L’inflazione, anche se ora ha rallentato, nel 2022 aveva toccato un picco del 12,6%, il livello più elevato tra le maggiori economie della Ue. E l’andamento dei prezzi si è abbattuto pesantemente sulle famiglie, stante il cronico problema (mai affrontato) dei bassi salari che non tengono il passo con l’inflazione e colpiscono soprattutto le fasce della popolazione meno abbienti.
Ritornando all’Europa, come afferma l’appello dei Vescovi , servono ideali comuni e valori coltivati per un nuovo grande rilancio del cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che le permetta di esercitare la sua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccoglie ed esprime. Le esigenze di innovazione economica e tecnica (pensiamo all’Intelligenza Artificiale), di sicurezza, di cura dell’ambiente e di custodia della “casa comune”, di salvaguardia del welfare e dei diritti individuali e sociali, sono alcune delle sfide che solo insieme i 27 Paesi potranno affrontare e superare. Per ripartire, basterebbe che nella babilonia europea intanto si chiarissero almeno le posizioni su alcune questioni di fondo: essere a favore o contro l’Europa, a favore o contro l’Ucraina e la Nato, a favore o contro lo stato di diritto. Il minimo sindacale, secondo un saggio modo di dire.