Le vie dell’anima devono tracciare i disegni della civiltà del mondo

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di Francesco Romano • Anche coloro che non accettano come sovrannaturale il messaggio cristiano sono d’accordo nell’affermare che il cristianesimo ha rivelato all’uomo un orizzonte interiore, l’ha ricondotto alla contemplazione degli orizzonti dell’anima, nei quali, come dice l’antico filosofo greco, corrono infinite vie che nessuno riuscirà mai a percorrere: le vie dell’anima si snodano dall’intima esigenza dell’essere umano, si avvolgono, a volte tornano su se stesse, a volte rompono nel precipizio, a volte si spalancano nell’ansia di approdi infiniti. Le vie dell’anima, chi potrebbe percorrerle?

Ecco, queste vie sono le vie su cui cammina Gesù Cristo. Egli viene non soltanto nell’orizzonte della storia come senso ultimo dei tempi, ma viene anche nell’orizzonte dell’anima come senso intimo e pieno della nostra esistenza personale. È Lui che dà il senso alle nostre lacrime, alle nostre gioie familiari, perfino al nostro banchetto pasquale. È Lui che completa tutto.

Ma che cosa sono queste vie dell’anima di cui parlano con voce congiunta Isaia e Giovanni Battista? “Preparate nel deserto le vie del Signore e tracciatevi sentieri ben diritti. Tutti i burroni siano ben colmati, montagne e colline siano spianate, i sentieri tortuosi raddrizzati e livellate le vie sassose. Allora ogni vivente vedrà giungere la salvezza di Dio”.

Quali sono queste strade? L’uomo non ha bisogno di interrogare altri per conoscerle, in quanto egli è un essere morale che in ogni sua azione porta con sé l’impulso di un imperativo; egli ha l’esigenza di una strada da seguire. La strada della coscienza è la strada della legge morale che, man mano che si percorre, si manifesta agli uomini con quel complesso di virtù che passa sotto il nome di onestà. L’uomo onesto è l’uomo che raddirizza le strade. Così, la vicenda religiosa presuppone una vicenda morale. Solo l’uomo abituato a tenere diritte le strade dell’anima ha gli occhi adatti per scrutare l’orizzonte, non l’uomo che si avvolge su se stesso! Non l’uomo che si appaga di quello che ha realizzato, ma l’uomo che, per quanto abbia camminato, avverte che la strada è ancora lunga dinanzi a lui. Solo quest’uomo è degno di scoprire la luce della Pasqua perché è degno di avere l’elogio che S. Paolo dava a se stesso: “Per quanto esamini la mia coscienza io non mi trovo degno di nessun rimprovero, ma a me importa poco essere giudicato da voi e da un tribunale umano, anzi io stesso non mi giudico. È vero che la mia coscienza non mi rimprovera nulla, ma per questo solo non mi stimo assolto. Il mio giudice è il Signore. Non abbiate quindi fretta di giudicare; lasciate che venga il Signore ed Egli porrà in luce ciò che le tenebre nascondevano e svelerà perfino le intenzioni dei cuori”.

Ecco una parola adatta a illuminare il nostro discorso: l’uomo che segue la legge morale obbedisce a una intenzione del cuore, la quale, forse, è ignota anche a lui.

Ci sono uomini che obbediscono alla legge morale senza conoscerne il senso ultimo, non sanno nemmeno che esiste un giudice, ma in quanto obbediscono alla legge morale, essi seguono una intenzione del cuore che troverà svelamento pieno nella fede del Cristo o nella sua manifestazione che anche per Lui è serbata. Solo che, affinché le vie del cuore non si chiudano e non trovino pareti di orgoglio, bisogna che questo amore per l’onestà si accompagni a un sentimento profondo di umiltà. Solo l’uomo moralmente discutibile è sicuro di essere onesto. L’uomo che è veramente onesto, che fa dell’onestà non una sistemazione di coscienza, ma una ricerca di coscienza, è anche l’uomo che accompagna al gaudio dell’obbedienza alla legge morale, la sofferenza per la propria indegnità. L’uomo veramente onesto sa di non esserlo mai abbastanza, per cui si aggiunge alla sua chiarezza morale questa specie di gemito religioso, questa ansia, esplicita o meno, di una salvezza che non venga da una legge, ma venga dall’alto. Così, alla rettitudine si aggiunge la preghiera che potrebbe essere espressa con quelle parole attribuite ad Alessandro Manzoni durante la crisi che lo portò alla conversione: “Dio, se ci sei, fa che io creda in Te!”.

Solo l’uomo che supera con la propria onestà in un gemito, in una richiesta di salvezza, si avvicina a scoprire all’orizzonte della sua anima questa aurora nuova che è la salvezza portata da Gesù Cristo. E Cristo cammina sì nelle vie dell’anima umana, ma solo là dove l’onestà morale incessantemente le raddirizza e là dove l’aspirazione le dischiude a una manifestazione dell’infinito. La superbia ostacola, come Cristo continuamente dice nel Vangelo, la percezione della sua divinità. Quando l’uomo così realizza la propria vicenda morale, egli è un cercatore del Cristo.

Nell’intimo della sua coscienza, qualcosa della sua luce si riflette e noi che professiamo la certezza della divinità di Cristo, non dobbiamo sentirci esenti da questa ricerca: Cristo non è solo un nome legato alla storia del passato, la cui realtà si verifica attraverso ricostruzioni storiche, Cristo non è nemmeno un’immagine accarezzata e modellata dal sentimentalismo; Cristo è innanzi tutto il Verbo che si manifesta all’anima. E soltanto coloro che sono abituati a scrutare l’intima realtà della propria vita spirituale, sanno che il Regno di Dio non si realizza con strutture esterne, non è omogeneo alle civiltà terrene né usa le coazioni. Il Regno di Dio è affine al Regno dell’anima, al regno della coscienza. Soltanto gli uomini spirituali riescono a scoprirne il fulgore.

Il nostro cristianesimo sembra spesso ristagnarsi nelle seduzioni del sentimentalismo che non rinnovano la vita e che si combinano perfino con una vita sregolata. Quanti legano la Pasqua a un sentimento gioioso e non percepiscono il suo messaggio severo, il suo significato di spada che divide, di segno di contraddizione.

Occorre che la nostra coscienza cristiana, assuefatta al mistero per lunga tradizione, riscopra questa dimensione della ricerca del Verbo da cui non siamo esenti. Ogni giorno dovremmo nella risposta fedele agli imperativi della nostra coscienza cogliere la via giusta per riscoprire il Signore che anche per noi credenti è un po’ sconosciuto. La sua pienezza di verità si manifesta progressivamente nella misura in cui noi raddrizziamo le vie dell’anima.

Così l’ultima parola che ci prepara alla Pasqua è quella del profeta Isaia e di Giovanni Battista: “Dobbiamo raddrizzare le vie”. Dobbiamo testimoniare al mondo, noi che accettiamo il messaggio pasquale, la gioia che ci viene dalla certezza che il Signore continua a essere presente fra di noi, non è una gioia destinata alla nostra consumazione interiore e alle nostre dilettazioni spirituali. Essa ci obbliga a una faticosa opera morale, alla rettitudine nei rapporti con noi stessi e con il prossimo.

Solo quando il cristianesimo s’incarna in una vita moralmente integra, acquista la pienezza della sua testimonianza e della sua forza d’attrazione nel mondo d’oggi.

Ecco che cosa vorremmo dagli uomini di oggi che guardano alla gioia della Pasqua con una più o meno confessata nostalgia. Affinché questa luce sia persuasiva occorre che i figli del Cristo che si dilettano della ricorrenza pasquale come di una festa di famiglia, siano anche capaci di essere testimoni della rettitudine, capaci di raddrizzare le vie dell’anima e, dopo di quelle, anche le vie della società; che sappiano far prorompere l’energia morale dai segreti penetrali della loro contemplazione nella oggettiva realtà dei rapporti sociali e nel più vasto spazio dell’universo.

Le vie dell’anima devono tracciare i disegni della civiltà del mondo. E i cristiani che vanno verso il Cristo hanno l’obbligo di essere in questa dignità morale, in questa fedeltà alla coscienza e in questo impegno di costruzione di un mondo più umano, al primo posto. Solo in questo caso il messaggio di Pasqua arriverà a scuotere le coscienze e arriverà a rifulgere anche a quegli uomini, che nella loro onestà non sanno trovare altro approdo che quello del gemito dell’attesa, dell’aspirazione pura.

Perché il Cristo risplenda anche a loro occorre che il nostro volto, la nostra vita abbia la luce, la bellezza e la pienezza della Pasqua.

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Francesco Romano

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