di Francesco Vermigli · Il 17 maggio scorso il Dicastero per la dottrina della fede ha reso pubbliche le nuove Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali. Si tratta di una normativa che – come si legge all’art. 27 – sostituisce in tutto le Norme per procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rivelazioni del 25 febbraio 1978; fatte circolare prima in forma riservata e pubblicate solo nel 2011, con una Prefazione dell’allora Prefetto, il cardinal Levada. Le presenti Norme sono accompagnate da una Presentazione piuttosto lunga a firma dell’attuale Prefetto – il cardinale Fernández – che si sofferma sulle ragioni di questa nuova normativa, sulle implicazioni pastorali e sulle questioni di maggiore momento teologico di un documento di per sé prevalentemente giuridico.
È proprio sugli aspetti teologici connessi con la valutazione dei presunti fenomeni soprannaturali che porremo in particolare l’attenzione; senza dimenticare di presentare almeno a sommi capi la procedura per il discernimento e la valutazione sui fenomeni, prevista una volta terminata la fase istruttoria.
Vi è un’affermazione di massima che deve essere ritenuta, ogni volta che siamo posti di fronte alla verifica di qualsivoglia presunto fenomeno soprannaturale: il fatto, cioè, che esso non avrà mai la possibilità di completare, integrare, aggiungere alcunché alla Rivelazione piena e definitiva di Cristo. Si tratta di un’affermazione categorica, che può facilmente far leva sui luoghi della Dei Verbum (il n. 4 su tutto) abitualmente chiamati in campo per definire dogmaticamente un’affermazione, che si può prendere dal complesso del racconto evangelico: così accade anche per il presente documento. Interessante che i punti iniziali – chiamati a dichiarare il carattere definitivo dell’opera di Cristo per il mondo – facciano leva su alcuni passi degli scritti di Giovanni della Croce; come accade in parallelo alla stessa Dei Verbum all’interno del Catechismo della Chiesa cattolica. Celebri queste parole: «Perciò chi oggi volesse interrogare il Signore e chiedergli qualche visione o rivelazione non solo commetterebbe una sciocchezza, ma arrecherebbe un’offesa a Dio, non fissando i suoi occhi interamente in Cristo per andare in cerca di qualche altra cosa o novità». D’altra parte, con affermazione connessa con questa definitività, il documento non dimentica che spetta allo Spirito condurre la Chiesa alla comprensione più approfondita della Rivelazione piena e definitiva di Cristo (qui si cita Dei Verbum, 5).
L’affermazione secondo la quale la Rivelazione è definitiva in Cristo – e che lo Spirito guida la Chiesa ad una sempre più approfondita comprensione di quella Rivelazione definitiva – deve dunque essere considerata come il presupposto fondamentale per ogni valutazione sulla soprannaturalità di alcuni fenomeni, si diceva. Ne discende che non si potrà mai dare a tali fenomeni un assenso di fede paragonabile a quello che si deve dare alla Rivelazione stessa; anche dopo che di questi fenomeni la Chiesa abbia espresso un giudizio non negativo. È nell’ordine teo-logico delle cose che se vi è una Rivelazione piena e definitiva, ad essa e ad essa soltanto si dovrà dare un assenso pieno di fede.
Se proseguiamo oltre nell’analisi del documento, notiamo una buona consapevolezza da un lato sulle opportunità e sul valore spirituale, dall’altro sui limiti e sui pericoli di qualsiasi presunto fenomeno, sottoposto al discernimento. Si tratta di un sano realismo pastorale che sa che – se lo Spirito agisce come vuole e secondo scopi imperscrutabili alla mente umana – lo spirito dell’uomo segnato dal peccato – se non addirittura dalla mondanità – può deviare l’opera originale e creativo dello Spirito.
Quando il documento giunge a presentare la procedura per il discernimento, considera innanzitutto il compito del vescovo del luogo e della commissione da lui composta al fine di comprendere la soprannaturalità del fenomeno. Particolare considerazione viene riservata all’elencazione dei criteri negativi per il discernimento: un errore circa il fatto, eventuali errori dottrinali (anche se potrebbero essere talvolta dovuti alla cattiva percezione del soggetto che ha ricevuto una rivelazione privata), uno spirito settario, una ricerca di lucro a partire dal fatto presentato come soprannaturale, atti gravemente immorali connessi con il fatto o successivamente ad esso, alterazioni psichiche o addirittura psicosi nel soggetto.
Si ricordano infine le sei possibili conclusioni a cui potrà condurre l’inchiesta diocesana e sottoposta al Dicastero (che potrà chiedere altri approfondimenti e intervenire ulteriormente in seguito, anche dopo un giudizio non negativo): 1° Nihil obstat; 2° Prae oculis habeatur; 3° Curatur; 4° Sub mandato; 5° Prohibetur et obstruatur; 6° Declaratio de non supernaturalitate; secondo una successione che va dall’apprezzamento dei frutti spirituali e pastorali di quel fenomeno all’estremo opposto: la dichiarazione, cioè, della non soprannaturalità del fenomeno.
In conclusione, ci pare di poter affermare che il documento mostri un equilibrio tra il riconoscimento dei vantaggi spirituali e pastorali di questi fenomeni e il rischio che essi possano sollecitare devianze dalla retta fede. In fondo, è un equilibrio che nasce da una visione fortemente realistica di un ambito in cui possono agire tanto forze e dinamiche di grazia, quanto quelle che si radicano nel mistero del peccato.