“La speranza non delude” (Rm 5,5). Riflessioni a margine della Bolla di indizione del Giubileo del 2025

366 369 Gianni Cioli
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Come emerge con evidenza dall’incipit, ovvero dal titolo: «Spes non confundit (La speranza non delude)» (Rm 5,5), della Bolla d’indizione, il messaggio centrale del Giubileo del 2025, nelle intenzioni del papa, dovrà essere quello della speranza. Non è difficile ipotizzare le ragioni di questa scelta di Francesco. In un momento storico contrassegnato da molteplici esperienze che spingono alla paura e favoriscono un sentimento deprimente di disillusione collettiva (cambiamenti climatici, pandemia, crisi economica, terrorismi e guerre in atto contrassegnate da inaudita atrocità e, soprattutto, lo spettro di un conflitto mondiale nucleare), il papa auspica che il Giubileo possa «essere per tutti occasione di rianimare la speranza» (1).

Certo, la speranza cristiana che il papa vuole aiutarci a riscoprire in occasione del Giubileo, non è una banale speranza umana che, come tale, tenderebbe fatalmente a risolversi nell’illusione che “andrà tutto bene…”. La speranza che non delude, a cui si riferisce Francesco, è quella che non può prescindere dalla fede in Dio e dall’amore di Dio, ovvero dalla carità. È la speranza virtù teologale.

Non a caso la riflessione che il papa sviluppa prende le mosse dalla Lettera di san Paolo ai Romani nella quale il discorso sulla speranza viene a collocarsi strutturalmente al centro della riflessione elaborata dall’Apostolo, a mo’ di cerniera fra le considerazioni sulla fede e quelle sull’amore/carità (agape) (2-4).

Nel percorso dottrinale della Lettera ai Romani, infatti, la speranza appare come l’attesa del compimento delle promesse a cui si è creduto. È la condizione, paradossale ma autentica, che il cristiano sperimenta nel già e non ancora delle attese suscitate dalla fede. Nella speranza s’intrecciamo e si sostengono vicendevolmente desiderio, timore e fiducia. Essa implica una doppia tensione a cui il credente non può sottrarsi: fra la pienezza di vita che Dio promette e la sofferenza che il cristiano sperimenta nel mondo ancora segnato dal mistero dell’iniquità; fra il compimento della salvezza che si manifesterà nella risurrezione e il non compimento attuale: «nella speranza noi siamo stati salvati» (Rm 8,24). Scaturendo dalla fede e dalle tensioni a cui la fede è sottoposta, la speranza trova tuttavia alimento, sostegno e pieno vigore nell’amore, inteso come esperienza dell’essere amati da Dio, potendo a nostra volta corrispondergli: «Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,1-5). La garanzia della speranza è l’amore di Dio che, mediante lo Spirito Santo, ricolma il centro della nostra vita, il cuore. Un amore che è più forte di ogni sorte avversa e di ogni potenza terrena (cf. Rm 8, 28.31.35.37-39).

L’amore, dunque, nella Lettera ai Romani, è in primo luogo quello di Dio, manifestatosi nella morte di Cristo per i peccatori (cf. Rm 5,6-11) e donato ai credenti in virtù dello Spirito. Tale amore, ricevuto in dono, diventa poi, nel cristiano, la logica determinante e la forza trainante della vita concreta, il paradigma della verità delle relazioni personali. Nell’ambito delle relazioni umane, peraltro, la verità dell’amore tende a manifestarsi appieno proprio nelle difficoltà.

È significativo che il papa esorti i cristiani a trasformare in “segni di speranza” proprio i contesti umani più segnati dalla difficoltà, nell’attuale congiuntura storica. «Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra» (8). Ma anche la crisi demografica (9); la condizione dei carcerati (10); quella degli ammalti (11); il disagio giovanile (12); il dramma degli esuli, profughi e rifugiati e, in genere, dei migranti (13); la solitudine degli anziani (14); la crescente realtà dei poveri nel mondo (15), sono qualificati dal papa come “segni dei tempi”, in quanto appelli all’amore capace di portare consolazione, e quindi speranza, nella desolazione dei «giorni cattivi» (Ef 5,16).

La virtù della speranza, come del resto la fede e l’amore/carità, in quanto virtù teologale, è una disposizione personale che per ha per oggetto Dio, che è donata da Dio ed è da lui rivelata per mezzo della sua parola. Essa non perde comunque di vista le realtà terrene: «Come insegna la Sacra Scrittura, la terra appartiene a Dio e noi tutti vi abitiamo come “forestieri e ospiti” (Lv 25,23). Se veramente vogliamo preparare nel mondo la via della pace, impegniamoci a rimediare alle cause remote delle ingiustizie, ripianiamo i debiti iniqui e insolvibili, saziamo gli affamati» (16).

Per papa Francesco il prossimo Giubileo, dunque, dovrà essere in primis «un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio». Ma dovrà, altresì, aiutarci «a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato». L’auspicio è che, davvero, la «testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore».

In conclusione, il papa ci esorta a lasciarsi «fin d’ora attrarre dalla speranza» e a permettere «che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: “Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore” (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri» (25).

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