di Alessandro Clemenzia · In occasione del saluto rivolto durante l’assemblea plenaria del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Papa Francesco è nuovamente tornato sul tema della riforma della Chiesa, attraverso il recupero di quanto i padri conciliari hanno sottolineato, proprio a partire dalla Sacrosanctum Concilium, a sessant’anni dalla sua promulgazione. Le dimensioni ecclesiali che allora erano considerate “fondamentali” e dovevano essere oggetto della riforma erano le seguenti: «Far crescere ogni giorno di più la vita cristiana dei fedeli; adattare meglio alle esigenze del nostro tempo le istituzioni soggette a mutamenti; favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo; rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa (cfr. SC 1)».
Tale rinnovamento a trecentosessanta gradi poteva inverarsi, non attraverso progetti pastorali o catechetici, né tanto meno attraverso speculazioni filosofiche o teologiche, ma a partire dal luogo della liturgia, tanto da poter affermare che «senza riforma liturgica non c’è riforma della Chiesa». Quest’ultima, diversamente da chi la considera semplicemente un “ammodernamento” ecclesiale, ha sempre a che vedere con la questione della fedeltà a Cristo. Una fedeltà, descritta dal Papa, in termini sponsali, per cui «la Chiesa Sposa sarà sempre più bella quanto più amerà Cristo Sposo, fino ad appartenergli totalmente, fino alla piena conformazione a Lui».
Il tema della sponsalità è stato recuperato da Francesco anche per sottolineare l’importanza del ruolo della donna nella Chiesa, senza ridurlo a una mera funzionalità sacramentale. Maria, infatti, ha un ruolo fondamentale nella Chiesa, diverso da quello di Pietro; per questa ragione, spiega il Papa, «non si può ridurre tutto alla ministerialità. La donna in sé stessa ha un simbolo molto grande nella Chiesa come donna, senza ridurla alla ministerialità». Ciò significa che la valorizzazione della dimensione femminile nella Chiesa è chiamata a passare attraverso altre strade rispetto che a una mera funzionalità, in quanto la vocazione di ognuno non può essere riconosciuta unicamente attraverso l’assunzione di una precisa attività intraecclesiale.
Per quale motivo è necessario partire proprio dalla liturgia per avviare un’autentica riforma della Chiesa? In quanto essa «è il luogo per eccellenza in cui incontrare Cristo vivo. Lo Spirito Santo, che è la preziosa dote che lo Sposo stesso, con la sua croce, ha provveduto per la Sposa, rende possibile quella actuosa participatio che continuamente anima e rinnova la vita battesimale».
Ribadire la priorità dell’azione di Dio sull’idea di una ministerialità diffusa, in cui si cerca di allargare le modalità di servizio all’interno della Chiesa in riferimento ai diversi carismi, significa al tempo stesso recuperare il vero senso di “riforma” della Chiesa, che consiste non tanto nel mettere in pratica programmi di natura pastorale al fine di raggiungere un particolare obiettivo, ma nell’assumere quell’atteggiamento consapevole del fatto che il vero protagonista della storia è e rimane Dio, il quale a sua volta rende protagonista ogni credente affinché possa vivere la propria vocazione. È lo Spirito Santo, in altre parole, a inverare quell’actuosa participatio tanto auspicata dalla Sacrosanctum Concilium, e non un allargamento della ministerialità.
Insieme al riconoscere la preminenza dell’azione divina nella storia della Chiesa, è importante anche avviare una vera e propria formazione liturgica, a partire dalla liturgia, e cioè da quel luogo in cui il Padre, per mezzo del Figlio e nello Spirito Santo continua a comunicarsi alla comunità, rivelando simultaneamente Se stesso e il destino di ogni uomo e donna, vale a dire ciò per cui ciascuno è stato creato. Una formazione, dunque, non per sollecitare i pochi addetti ai lavori a chissà che tipo di approfondimento sistematico, ma per sensibilizzare l’intero popolo di Dio, rendendolo sempre più consapevole di quella realtà che è capace di accadere (attraverso l’evento liturgico) anche a prescindere dalla preparazione teologica e culturale di ogni credente. «Ciò naturalmente – spiega ancora Francesco – non esclude che vi sia una priorità nella formazione di coloro che, in forza del sacramento dell’Ordine, sono chiamati ad essere mistagoghi, cioè a prendere per mano e accompagnare i fedeli nella conoscenza dei santi misteri». A tal fine il Papa incoraggia una sinergia sempre più profonda e radicata tra i diversi Dicasteri, in modo tale che «se “la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” (SC 10), occorre fare in modo che anche la formazione dei ministri ordinati abbia sempre più un’impronta liturgico-sapienziale, sia nel curriculum degli studi teologici sia nell’esperienza di vita dei seminari».
In questo discorso Papa Francesco offre un ulteriore stimolo all’ecclesiologia per comprendere l’autentico significato di “riforma della Chiesa”, rintracciando quel luogo in cui è possibile far scaturire una vera renovatio, personale e comunitaria: la liturgia.