La musica e la bellezza di Dio

300 168 Alessandro Clemenzia
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Karl Barth

«Forse gli angeli, quando sono intenti a rendere lode a Dio, suonano musica di Bach, ma non ne sono del tutto sicuro; sono certo, invece, che quando si trovano tra di loro suonano Mozart ed allora anche il Signore trova particolare diletto nell’ascoltarli». Con queste parole di Karl Barth, tratte da un suo volumetto del 1956, scritto in occasione del secondo centenario della nascita di Mozart, il teologo Bruno Forte ha offerto un interessante contributo in un testo intitolato La musica e la bellezza di Dio (Queriniana, 2024).

«Il canto nasce da un cuore che ama» (p. 28), scrive l’autore, da un cuore capace di amare e che spesso porta con sé anche alcune ferite; per questa ragione ciò che è musicato e cantato può essere espressione della luce che scaturisce sia dall’amore sia dal dolore. Per quanto riguarda la musica sacra, essa si rivolge primariamente al Tu divino, capace tanto di rendersi presente accanto a ogni uomo e donna, quanto di far fare loro esperienza del suo silenzio, rivelandosi in questo modo come il “Dio nascosto” ma sempre fedele. «Il silenzio divino cui introduce la musica sacra è lo spazio della nostra libertà, perché nella dolorosa ambiguità del silenzio di Dio l’uomo sta solo di fronte alle sue scelte, del tutto libero rispetto al Dio che si ritrae» (p. 34). Un silenzio fecondo, dunque, quello di Dio, che rivela una paternità non paternalistica: nell’atto stesso del suo ritrarsi introduce ogni figlio e figlia alla libertà, come se si trattasse di un secondo atto generativo.

La musica è anche un canale di comunicazione; a tale proposito Bruno Forte presenta tre modelli interpretativi del linguaggio musicale: la musica “modale” degli antichi, quella “armonica” dei moderni e, infine, quella “atonale” del tempo contemporaneo. La musica modale ha come voce più autorevole Agostino d’Ippona, secondo il quale «la musica è eco dei “numeri del cielo”, porta e pregustazione della bellezza celeste in questo mondo: ars bene modulandi, essa rapporta i suoni in modo che vi sia fra di loro proporzione e armonia, evitando rotture e discontinuità» (p. 41). Un altro modello è quello armonico, secondo il quale la musica è espressione dei sentimenti e del dinamismo interiore del soggetto, come si può rintracciare nell’opera di Arthur Schopenhauer. Infine vi è l’interpretazione atonale, la quale, «oltre a cogliere il messaggio musicale per quello che esso è nella propria realtà materiale, essa lo situa in rapporto alle strategie di produzione e a quelle di assimilazione da parte degli ascoltatori» (p. 50).

Interessante è il rapporto, messo in luce da Bruno Forte, tra liturgia, verità e bellezza. Egli parte dalle parole di Papa Francesco in Evangelii gaudium: «La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi» (EG 24). In altre parole, la via pulchritudinis è il modo attraverso cui la Verità, che è Cristo stesso, si rende presente «attraverso segni sensibili ed eventi di bellezza» (p. 80), dove i segni esprimono la concretezza con cui la verità raggiunge la creatura, e l’evento dice l’accadere di questo incontro, non per sforzo umano ma per grazia. In virtù di questa concretezza e di tale dinamica di incontro, la liturgia si serve di tutti i sensi dei fedeli, proprio per renderli partecipi della grandezza del Mistero; anzi, i sensi «costituiscono le porte attraverso cui l’umano è raggiunto dal divino e a sua volta si mette in comunicazione con il Signore vivente» (p. 82). E qui Forte presenta tutti e cinque i sensi, come luogo in cui Dio afferra ogni sua creatura: l’udito, per accogliere la Parola; il tatto, per compiere i gesti sacramentali e le opere di carità; il gusto, per nutrirsi del pane eucaristico; l’olfatto, per assaporare il profumo, evocato dall’odore del crisma; la vista, per contemplare i gesti compiuti nella liturgia.

Ed essendo Cristo “la” Verità, quest’ultima non è raggiungibile attraverso uno sforzo spirituale, morale o intellettuale, ma è capace essa stessa di andare incontro ad ogni uomo e donna, raggiungendoli lì dove essi si trovano. Ed è lo Spirito Santo a inverare questo dinamismo attraverso i sensi, per cui «grazie alla Sua azione il tocco divino ci raggiunge e trasforma nell’ascolto della Parola di Dio e dei canti, nella vista che educata dalla fede sa leggere il linguaggio dei segni e dei gesti, nel tatto che ci mette in rapporto con i sancta […], nel gusto che assapora il pane eucaristico come cibo di vita eterna, nell’olfatto che attraverso il profumo dei segni si apre al profumo di Cristo» (p. 87).

Questa azione divina genera nella creatura un immenso stupore, come scrive Papa Francesco in Desiderio desideravi: «La bellezza, come la verità, generano sempre stupore e quando sono riferite al mistero di Dio, portano all’adorazione» (n. 25).

La bellezza, di cui qui si parla, non dipende però dal gusto soggettivo della singola persona, e tantomeno dal suo riconoscimento (per quanto quest’ultimo sia fondamentale per l’atteggiamento di stupore di cui si parlava) «ma è inscritta nelle cose, dotata di una forza oggettiva» (p. 93) e capace, tanto di esprimere l’armonia che la contraddistingue, quanto di portare ben al di là di ciò che è mondano. Cristo è quella bellezza e quella verità capace di offrire, in particolare nell’evento liturgico, una vita realmente rinnovata.

La bellezza di Cristo ha anche la forza di smascherare ogni falsa bellezza, in quanto egli stesso, il più bello tra i figli degli uomini, si è donato e rivelato sub contraria specie, e cioè attraverso la bellezza di un amore crocifisso: una luce che scaturisce proprio dal dolore offerto per amore: «è questo “amore folle” di Dio il volto della bellezza, che sola può aiutare gli abitatori del tempo a “trasgredire” veramente la morte e a “redimire” con la carità il frammento ferito dal male: è l’amore umile e generoso, ricevuto dall’alto, la bellezza che salva» (pp. 109-110).

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