di Leonardo Salutati · Per potere dare una qualche valutazione dell’intelligenza artificiale dal punto di vista etico è necessario considerare alcuni aspetti fondamentali che ci consentono di avere un’idea minima di tale realtà. L’intelligenza artificiale (IA) è un tipo di tecnologia definita general pourpose (a scopo generale), espressione che si riferisce a tecnologie o sistemi progettati per essere utilizzati in una vasta gamma di applicazioni. Per esempio, sono tecnologie general purpose la ruota, la stampa, la macchina a vapore, l’elettricità sino a giungere alla rivoluzione del silicio con computer, internet e telefono cellulare.
Proprio perché a carattere generale tali tecnologie si riverberano generalmente sulla cultura del tempo in cui nascono e si diffondono in modo da segnare un’epoca, per cui esiste una società della macchina a vapore, una società elettrica, una società del telefono, ecc. Possiamo dire che oggi esiste una società dell’IA e quindi una visione antropologica ed economica che non può prescindere da questa tecnologia (cf. L. Peyron, Intelligenza Artificiale come risorsa o come paura?, 2024).
La nascita formale dell’IA viene generalmente attribuita alla conferenza di Dartmouth del 1956, un evento che riunì i ricercatori interessati a scoprire se le macchine potevano imparare e risolvere problemi autonomamente anche se c’erano già stati importanti precedenti come, ad esempio, con la macchina di Alan Turing che mise a punto la base fondamentale per la teoria della computazione, oppure con Norbert Wiener che formulò i primi principi della cibernetica.
Gli studi su ll’IA, sin dall’inizio, partono dal presupposto che l’essere umano è una macchina, per cui è possibile costruire macchine che gli sono simili se non uguali o, addirittura, migliori e capaci di superarne i limiti. In realtà rischiamo di lasciarci volentieri ingannare da una locuzione che per molti aspetti non è esatta, perché la macchina non è intelligente e, verosimilmente, mai lo sarà.
Tutto questo sta producendo reazioni ambivalenti che vanno da un entusiasmo spesso ingenuo a paure anche piuttosto irrazionali (Francesco, Discorso al G7, 2024), che richiedono di interpretare in modo equilibrato un tale cambiamento d’epoca. A questo proposito è utile sottolineare alcuni aspetti per disporre di un qualche criterio di discernimento.
L’essere umano ha sempre cercato di superare i propri limiti, spinto da un desiderio di esplorazione, espressione di sé e di realizzazione che si intreccia con la ricerca di significato, la relazione con gli altri, sino alla ricerca dell’Altro. È una dimensione che va ben oltre il puro calcolo o la logica, abbracciando la complessità delle emozioni, del significato e del senso sino a compiersi nell’aspirazione alla trascendenza. Per cui il rapporto uomo-tecnologia pone la questione di come le macchine possano soddisfare i nostri desideri di efficienza, aiutandoci a superare i limiti fisici e intellettuali, salvaguardando tuttavia la dignità della persona, l’equilibrio sociale e quello delle risorse, il nostro modo di imparare, di connetterci con gli altri e di esplorare il mondo senza cadere in un delirio di onnipotenza (cf. L. Peyron, cit.).
In questo senso il rapporto uomo-tecnologia interroga il cuore stesso dell’esistenza umana, invitandoci a considerare come la tecnologia possa servire non solo i nostri desideri immediati, ma anche la nostra vocazione più profonda verso il bene, la verità e la bellezza (cf. Caritas in veritate, 68-77), per cui vi sarà sviluppo autentico nella misura in cui la macchina è a servizio non tanto dei diversi desideri umani quanto dello sviluppo integrale dell’essere umano (L. Peyron, cit.).
Da qui l’emergere di alcune responsabilità nel rapporto con l’IA. Prima di tutto quella di carattere educativo che metta il potenziale tecnologico dell’IA a servizio di una maggiore giustizia, verità, solidarietà e sviluppo, rinunciando a servirsene per fini ingiusti e antiumani, nella piena consapevolezza della specifica missione dell’essere umano, chiamato a dare il nome alle cose e ad amministrare e custodire il creato (cf. Gen 2; Francesco, cit.).
A questa si deve aggiungere la responsabilità di valutare le modalità con cui gestire le potenzialità dell’IA, facendo attenzione a riporre eccessiva fiducia su strumenti di tipo regolatorio a discapito della formazione della coscienza umana. Le innovazioni tecnologiche, infatti, richiedono un dialogo molto più stretto e fecondo tra le generazioni, con una visione globale non più improntata esclusivamente alla massimizzazione del profitto ed all’efficientismo resi possibili dal paradigma tecnocratico.
Le potenzialità dell’IA consentirebbero, piuttosto, di ripensare il sistema economico troppo spesso orientato al breve termine ed all’immediata remunerazione del capitale, anche perché l’investimento nell’IA è produttivo se accompagnato da una visione che custodisca l’unico e vero “capitale”, quello umano, senza il quale, a lungo termine, l’efficacia immediata della macchina si esaurisce e si distorce. Occorre oggi convincerci del fatto che l’essere umano non è una macchina e che la sua differenza con la macchina è radicale (ontologica) e non fenomenica. Aspetto ben chiaro per chi conosce e accoglie la Rivelazione ebraico-cristiana, ma non per i tanti contemporanei convinti della possibilità di costruire macchine simili all’essere umano e capaci di superarne i limiti.
Infatti, se con l’uso della macchina è possibile trattare enormi quantità di dati, tuttavia, l’IA non riuscirà mai ad esprimere la profondità e la complessità dell’essere umano e della sua coscienza. Il “limite” dell’essere umano, poi, è ciò che lo differenzia in positivo dalla macchina. È il confine sul quale scoprire la sua grandezza e la sua capacità di pensare oltre il dato oggettivo. È il luogo in cui costruire la comunione piuttosto che ingaggiare la competizione e aprire la porta della trascendenza che conduce al divino, «che non implica di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo» (Laudato si’, 191) e farne buon uso in maniera fruttuosa (Francesco, cit.).