I cristiani e l’emergenza ambientale
di Gianni Cioli · Un lettore del settimanale Toscana Oggi, mi ha recentemente posto questa domanda:
“Certo, l’impressione che gli appelli lanciati dal Papa a prenderci cura del creato siano caduti sostanzialmente nel vuoto è avallata proprio dal Papa stesso che, nell’esortazione Laudate deum, a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica (4 ottobre 2023), pubblicata circa un anno fa, affermava: “Sono passati ormai otto anni dalla pubblicazione della Lettera enciclica Laudato si’, quando ho voluto condividere con tutti voi, sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente, le mie accorate preoccupazioni per la cura della nostra casa comune. Ma, con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti” (n.2).
Nel frattempo tutti possiamo constare che le cose sono peggiorate, sia per quanto riguarda gli effetti della crisi climatica (è ormai praticamente certo che il 2024 sarà l’anno più caldo mai finora registrato), sia per quanto riguarda la crescente indisponibilità da parte dei governi ad affrontare realmente il problema, come confermerebbero i risultati, da più parti giudicati come deludenti, della recentissima Cop 29 di Baku: “L’accordo finale raggiunto alla Cop29 sulla finanza climatica”, ha commentato ad esempio Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, “è davvero pessimo. Si tratta di un impegno fortemente inadeguato che tradisce le rassicurazioni, fatte in questi 3 anni di faticosi negoziati, di garantire ai Paesi più poveri e vulnerabili le necessarie risorse per decarbonizzare le loro economie e rispondere con mezzi adeguati ai sempre più frequenti e devastanti disastri climatici […]. Chiediamo all’Europa di mettere in campo una forte leadership europea, pericolosamente assente a Baku, per poter raggiungere il prossimo anno in Brasile una revisione ambiziosa degli impegni dell’Accordo di Parigi. A Belem, infatti, si dovranno aggiornare gli attuali impegni al 2030 e fissare i nuovi per il 2035, secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi ed in coerenza con quanto richiede l’IPCC” (vedi).
Il Data Blog, Info Data, del Sole 24 ORE, offre, sull’evento, una serie di considerazioni icastiche. In effetti, “con Donald Trump alle porte, e quindi con il nuovo presidente degli Stati Uniti pronto a guidare gli Stati Uniti che si è detto da sempre contrario alla transizione ecologica e pronto a togliere gli Usa dall’accordo di Parigi”, e con “un pezzo importante dell’Occidente concentrato ad acquistare più armi per fronteggiare le minacce rappresentate dalla crisi in medio oriente (Palestina, Libano, Israele e Iran) e quella in Ucraina iniziata mille giorni fa con l’invasione della Russia”, l’attenzione “alla sostenibilità e la lotta al climate change sembrano perdere centralità quantomeno nell’agenda politica dei Big del mondo”. Arrivati a questo punto, “dopo accordi sempre di compromesso e mai veramente efficaci, Baku ha rappresentato la liquidazione fallimentare dei Paesi più ricchi dopo anni di lotta al cambiamento climatico. In sintesi, le principali critiche all’accordo di Baku riguardano l’insufficienza dei finanziamenti promessi per affrontare efficacemente la crisi climatica e l’influenza percepita dell’industria dei combustibili fossili sui risultati della conferenza” (vedi).
Per rispondere alla questione da cui siamo partiti ho posto queste premesse di carattere geopolitico, sebbene la domanda vertesse piuttosto scarsa sensibilità ambientale presente nei cristiani. Questo perché ritengo che il problema dello stallo nell’impegno per l’ambiente, lamentato anche da Papa Francesco, non dipenda, in primo luogo, dalla debole percezione delle tematiche ambientali da parte dei fedeli, ma, piuttosto, da una polarizzazione (che, certo, coinvolge gli stessi cristiani), presente nell’opinione pubblica mondiale e soprattutto occidentale, sui criteri interpretativi dell’emergenza climatica, che per molti è “l’Emergenza” e per molti altri un solo problema secondario e relativo. Credo che quasi tutti possano convenire sul fatto che esiste un cambiamento climatico, ma vi sono opinioni molto contrastanti sulle cause del cambiamento, sui rischi connessi al cambiamento e sulle eventuali possibilità di arginarlo.
Anche nel nostro paese, si percepisce, una divisione più o meno netta (spesso anche collegata a un posizionamento politico), fra una parte della popolazione sensibile al problema e un’altra parte che tende a ridimensionarlo, se non a negarlo. La mia impressione è che i cristiani si ripartiscano (non saprei dire con quale percentuale) su entrambi i versanti. Per cui, vi sono cattolici decisamente appassionati alle problematiche ambientali, per i quali forse gli appelli del Papa non fanno altro che sfondare una porta aperta, così come vi sono credenti convinti che quello dell’ambiente sia un falso problema e che non sono probabilmente disposti a lasciarsi smuovere, in quest’ambito, nemmeno dal magistero papale. Del resto – sia detto per inciso – ormai i pastori della Chiesa si sono accorti da tempo che i cattolici, nelle questioni morali, hanno imparato a prendersi, quando pare loro opportuno, ampi spazi di autonomia rispetto ai dettami pontifici. Si pensi, ad esempio, alla difficile accoglienza che ebbero, a suo tempo, gli Insegnamenti di Paolo VI nell’ambito della morale coniugale.
Queste considerazioni, tuttavia, non rendono affatto vana la domanda del lettore, ma al contrario, la valorizzano: “Cosa può fare la Chiesa per fare in modo che gli appelli del Papa di questi anni non cadano nel vuoto?”.
La Chiesa, a mio avviso, deve e può comunque proporre un messaggio profetico per sensibilizzare alla tutela del bene comune, anche là dove vi fosse una scarsa propensione ad ascoltare gli allarmi ambientali. Ad esempio, l’invito a una maggiore un’attenzione al risparmio energetico, ricordando di spegnere le luci non necessarie, specie negli spazi comuni, o regolando la temperatura del riscaldamento e della climatizzazione, può accolto anche da chi neghi l’emergenza climatica, perché risparmiare sui consumi energetici è comunque un atto di ragionevole attenzione al bene comune. È un ragionamento che, certamente, vale anche per la promozione della raccolta differenziata dei rifiuti.
Credo che sia importante operare una sensibilizzazione morale parlando di più e con più convinzione di queste problematiche, ad esempio negli interventi degli episcopati nazionali, ma anche e soprattutto nella pastorale ordinaria (come quella, ad esempio, che si propone in parrocchia). Nell’esercizio del ministero pastorale sarebbe opportuno trovare più spazi per sensibilizzare al rispetto del creato, non tanto nell’ambito della confessione sacramentale, ponendo domande, quanto piuttosto in quello della catechesi, a cominciare da quella dei bambini (magari coinvolgendoli in attività pratiche), e in quello della predicazione. Durante la celebrazione del sacramento della penitenza le domande, se non richieste, possono infatti mettere il penitente a disagio. Casomai domande sulla sensibilità ai temi ambientali potrebbero essere inserite utilmente nei sussidi in preparazione alla confessione che forniscono indicazioni per l’esame di coscienza. Le tematiche ambientali potrebbero certamente trovare maggiore spazio nella predicazione, ad esempio nelle omelie domenicali, quando la liturgia parola ne offra l’opportunità, con l’accortezza, ovviamente di non diventare monocordi e ripetitivi.
Anche nelle Facoltà teleologiche (parlo in base alla mia esperienza di insegnamento alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale) penso che si potrebbe e si dovrebbe fare di più per elaborare e insegnare una teologia più attenta all’ambiente. Ciò potrebbe rappresentare, a mio avviso, anche un’occasione opportuna per promuovere, nell’ambito della Facoltà teologica stessa, quella “transdisciplinarietà nella ricerca e nell’insegnamento” che Papa Francesco ha raccomandato nel recente incontro con la comunità accademica della Pontificia Università Gregoriana del 5 novembre 2024.