I cinquanta anni dell’attentato all’Italicus: la strage senza colpevoli.

310 500 Stefano Liccioli
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di Stefano Liccioli · Nello scorso giugno ho avuto il piacere di presentare nella suggestiva cornice di piazza Santa Maria Novella il libro dello storico fiorentino Alessio Ceccherini, La ragnatela nera. L’eversione di destra e la strage dell’Italicus (Clueb, 2024). La presentazione s’inquadrava nell’iniziativa “Le piazze dei libri” una manifestazione promossa dalla Confartigianato di Firenze nell’ambito dell’“Estate fiorentina” e mirava a ricordare il cinquantesimo anniversario della strage del treno Italicus.

L’attentato ferroviario, avvenuto infatti il 4 agosto 1974 sulla linea Firenze-Bologna con un bilancio di 12 morti e 44 feriti, colpì la quinta carrozza dell’Espresso Roma-Brennero (“Italicus”) diretto a Monaco di Baviera. Tra le vittime ci furono anche due fiorentini: Elena Donatini, di 57 anni, che faceva parte del consiglio di fabbrica dell’Istituto Biochimico di Firenze in rappresentanza della CISL e che fu identificata dal fratello per un certificato medico che aveva in tasca; Nicola Buffi, di 51 anni, che si trovava nello stesso vagone della Donatini. Buffi, iscritto alla sezione fiorentina della DC di San Gervasio, era stato nel 1955 segretario provinciale amministrativo della DC a Firenze.

In questo articolò restituirò i principali argomenti trattati durante l’incontro mantenendo lo stile dell’intervista all’autore perché così avevo impostato la presentazione.

D: Ceccherini, com’è nato questo libro?

R: Lo studio, frutto del lavoro di dottorato di ricerca svolto per l’Università di Urbino, indaga un episodio a lungo trascurato dagli studi e contraddistinto, nonostante una ventennale storia processuale, dalla mancata individuazione dei responsabili. L’attentato ferroviario, avvenuto il 4 agosto 1974 sulla linea Firenze-Bologna con un bilancio di 12 morti e 44 feriti, colpì la quinta carrozza dell’Espresso Roma-Brennero diretto a Monaco di Baviera. La bomba a orologeria, secondo le indagini collocata a Firenze nella stazione di passaggio di Santa Maria Novella, esplose dentro la Grande Galleria dell’Appennino, una sessantina di metri prima che il convoglio uscisse dal tunnel. Ciò permise all’Italicus, lanciato a grande velocità, di uscire dalla galleria e avvicinarsi per forza di inerzia alla stazione appenninica di San Benedetto Val di Sambro. Il fatto che il treno avesse recuperato tre dei ventisei minuti di ritardo nel tratto da Firenze al punto dell’esplosione, evitò un disastro di proporzioni addirittura maggiori. Nel caso in cui l’ordigno fosse scoppiato nel mezzo al tunnel, infatti, l’incendio si sarebbe propagato, impedendo l’opera dei soccorritori e provocando l’asfissia dei passeggeri. L’attentato arrivò nel primo fine settimana di esodo delle vacanze estive e scosse profondamente il Paese, già provato due mesi prima dalla strage di Piazza della Loggia, che aveva colpito con otto morti e un centinaio di feriti una manifestazione antifascista. Il 9 agosto 1974, i funerali delle vittime in Piazza Maggiore a Bologna fotografavano la tensione, con una partecipazione straordinaria ed i fischi alle autorità dello Stato. Nonostante le grandi trasformazioni sociali in corso, infatti, in quei giorni la Repubblica sentiva tutto il peso delle minacce alla democrazia.

D: La particolarità della ricerca, mi pare, sia quella collocare la strage dell’Italicus nel suo contesto storico secondo un “prima” e un “dopo”, è così?

R: Esatto, ho interpretato l’attentato come apice nell’attacco del terrorismo di destra alla metà degli anni Settanta. Riemerge in questa ottica lo stillicidio dimenticato di attentati minori che incide sul quadro politico e sociale del Paese dal 1973 fino alla metà del 1975. Numerosi di questi attentati avvennero anche in Toscana; come nel caso della strage ferroviaria fallita a Vaiano il 21 aprile 1974, di quella sventata a Incisa Valdarno il 12 aprile 1975 o come nel caso delle bombe che angosciarono Viareggio durante il carnevale del ’75.

Dopo il tentativo di camuffamento politico degli anni precedenti, con la primavera del ’73 prende infatti corpo una tattica nuova nei gruppi dell’eversione neofascista, che attaccano le istituzioni democratiche con attentati intimidatori. In questa fase, lo scioglimento per decreto di Ordine Nuovo da parte del Ministero dell’Interno e la conseguente entrata in clandestinità della destra extraparlamentare si associano a un’offensiva frontale che si propone di accelerare la disintegrazione del sistema innescando una reazione violenta delle sinistre. La ragnatela dell’eversione neofascista – con la sua cultura politica, le sue dinamiche operative e la sua rete di legami sul territorio – viene studiata all’interno di uno snodo fondamentale della storia repubblicana, contraddistinto da instabilità governativa, pervasiva crisi economica e svolte su vari piani: dalla proposta del compromesso storico al risveglio della legge Scelba, dal referendum sul divorzio al dilagare dei fenomeni corruttivi, con il parallelo avanzare dell’eversione di sinistra e il problema montante dell’ordine pubblico.

D: Non mancano i riferimenti allo scenario internazionale di quegli anni.

R: Il fenomeno descritto è in larga parte autoctono, ma sullo sfondo si collocano i grandi sommovimenti internazionali: lo scenario della crisi energetica, il colpo di Stato in Cile, il declino delle dittature mediterranee di Grecia, Spagna e Portogallo e lo scandalo del Watergate, con le dimissioni del presidente statunitense Richard Nixon. Il termine finale della ricerca è indicato nelle elezioni del giugno 1975, le prime che portano al voto i diciottenni e – nel trentennale della Liberazione – vedono dispiegarsi la stagione più intensa dell’antifascismo. È in questa fase che l’offensiva giudiziaria e la repressione poliziesca segnano l’effettivo declino dell’emergenza e accompagnano lo scompaginamento in atto nella destra extraparlamentare. Il biennio 1973-1975 appare quindi come un “ponte sospeso” tra le due metà del decennio: se alla sua estremità iniziale si agganciano dinamiche innescatesi con la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre ‘69, al suo epilogo sono già anticipati i mutamenti di scenario che alla fine degli anni Settanta avvieranno una nuova insorgenza del terrorismo di destra dai caratteri inediti.

D: Un’ultima domanda: come ha condotto il suo lavoro?

Lo studio fa ampio uso degli atti processuali per analizzare un fenomeno caratterizzato da una perdurante omertà e da numerosi depistaggi. A tale scopo sono state utilizzate le carte degli apparati di sicurezza, comprese quelle recentemente declassificate e versate agli Archivi dello Stato. A questo materiale si intrecciano gli atti parlamentari (dalle sedute delle Camere alla documentazione delle Commissioni parlamentari d’inchiesta) e la stampa, fondamentale per restituire vividezza alla dimensione sociale e misurare la reazione della società civile alla minaccia eversiva. L’esigenza di caratterizzare le scelte degli attori storici anche sul piano individuale ha poi influito sulla scelta espressiva utilizzata nel libro, che ricorre ad uno stile narrativo e utilizza le fonti per tratteggiare l’apprendistato percorso dai giovani terroristi, indagando così anche il lato esistenziale di un ambiente politico spesso rappresentato secondo un punto di vista che antepone la condanna alla volontà di comprensione. Emergono in questa ottica i legami controversi delle cellule terroristiche con la destra istituzionale ma anche il rapporto di strumentalizzazione reciproca intrattenuto con gli apparati dello Stato, con i poteri della massoneria coperta e con gli ambienti dell’anticomunismo oltranzista che – seppur non ideologicamente assimilabili – auspicavano in quel momento storico uno strappo costituzionale.

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Stefano Liccioli

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