di Filippo Meli · Giulio Busi è professore ordinario alla Freie Universität di Berlino e presidente della Fondazione Palazzo Bondoni Pastorio. È noto per i suoi lavori nell’ambito della storia delle religioni, della filosofia e della cultura ebraica. Ha da poco pubblicato il saggio Giovanni il discepolo che Gesù amava di Giulio Busi.
In questo testo, l’autore esplora la figura di Giovanni, cercando di analizzare la sua posizione unica nel Nuovo Testamento e il ruolo che ha assunto nella tradizione cristiana, con uno stile senza dubbio interessante. Più che di un testo di carattere biblico o di studio, il lavoro di Busi, infatti, assume quasi tratti da “romanzo”, provando spesso ad immaginarsi (talvolta anche in modo fantasioso) il pensiero e le emozioni che il Giovanni autore del IV Vangelo ha provato prima di raccontare il suo incontro con Gesù.
Questo libro affronta diversi aspetti legati alla figura di Giovanni, tentando di ricostruirne l’identità storica ed esplorando come la sua figura venne interpretata nei secoli successivi. L’opera è anche un’indagine sul significato spirituale e simbolico di questa figura, cercando di comprendere come Giovanni il Presbitero sia stato identificato non solo come testimone privilegiato della vita di Gesù, ma anche come simbolo del rapporto stretto e diretto tra Dio e l’uomo.
La questione centrale dell’opera di Busi riguarda quindi l’identità dell’autore del Vangelo, cercando di chiarire una delle questioni più complesse legate alla figura di questo discepolo e testimone oculare: se, quindi, l’autore del Quarto Vangelo è infatti lo stesso l’apostolo Giovanni, il quale è secondo la tradizione “discepolo che Gesù amava”, oppure è considerato un altro personaggio, il “presbitero”.
Busi si concentra innanzitutto sul Vangelo di Giovanni, che ha una struttura diversa rispetto agli altri tre vangeli. Nel Vangelo di Giovanni, infatti, appare un ” discepolo amato” che ebbe un rapporto particolarmente stretto con Gesù e viene spesso visto come testimone privilegiato della vita di Cristo e dei momenti più importanti, come “l’ultima cena”, la Passione e resurrezione. Questo discepolo è descritto come colui che “posò il petto su Gesù” durante l’Ultima Cena (Gv 13,23). Nel Vangelo, però, l’identità di questo discepolo non è mai esplicitamente rivelata con il nome. Pertanto, Busi non accetta l’identificazione automatica tra il “discepolo amato” e l’apostolo Giovanni. Sebbene la tradizione cristiana abbia spesso attribuito il Vangelo all’apostolo Giovanni, molti studiosi moderni, sia cristiani che no, hanno messo in dubbio questa ipotesi.
Pertanto, Busi, ritiene che l’autore del Vangelo possa non essere stato l’apostolo Giovanni, ma piuttosto un cristiano del I secolo che non conosciamo con certezza e quindi, secondo lui, l’idea che l’autore del Vangelo fosse un testimone oculare diretto di Gesù (come l’apostolo Giovanni) potrebbe essere una costruzione successiva, che si è consolidata nel tempo a causa della tradizione e dell’autorità che veniva attribuita alla figura di Giovanni apostolo. Essenzialmente, Busi suggerisce che l’attribuzione del Vangelo all’apostolo potrebbe essere più un’operazione di “legittimazione” del testo piuttosto che una certezza storica.
La figura del “discepolo amato” sarebbe quindi non tanto una persona storica e singola, ma piuttosto andrebbe a rappresentare un prototipo di discepolo ideale.
In sintesi, Busi non offre una risposta definitiva sull’identità di Giovanni come autore del Vangelo, ma propone un’interpretazione più articolata e problematica della questione. Per quanto si tratti sicuramente di un testo interessante e dallo stile particolare, alcune considerazioni dell’autore forse si possono ritenere un po’ troppo affrettate, o quantomeno poco approfondite, il che può essere evidentemente giustificato dal voler mantenere il testo il più divulgativo possibile. Non si tratta quindi di un saggio di carattere scientifico, quanto piuttosto di una ricerca interessante, dove l’autore compie un’analisi di ricerca nei testi del corpus giovanneo per trovare conferme e indizi che avvalorano la sua tesi. Non certo il procedimento di ricerca più corretto, ma trattandosi di un saggio di carattere divulgativo è sicuramente utile vedere come l’autore si sa muovere nei testi e conosce la cultura ebraica del tempo.