Gennaro Busiello, Gli abusi sui minori nella Chiesa cattolica
di Gianni Cioli · Fra le monografie dedicate al tema degli abusi sui minori nella Chiesa cattolica, quella di Gennaro Busiello si di distingue per due particolari peculiarità: è il risultato di una ricerca dottorale e affronta la questione degli abusi nella prospettiva formale e con gli strumenti della Teologia morale. L’autore, giovane presbitero della diocesi di Napoli, si è infatti laureato nel 2021 presso l’Accademia Alfonsiana – Istituto Superiore di Teologia Morale ad istar Facultatis (Roma), difendendo la tesi poi pubblicata l’anno seguente, nel volume oggetto della presente recensione, col titolo Gli abusi sui minori nella Chiesa cattolica.
Il lavoro di Busiello, oltre ad offrire un apporto originale alla riflessione sulla problematica, si presenta organizzato con la chiarezza e il rigore metodologico che, in genere, ci si attende in una dissertazione dottorale di buona qualità.
Il tutto si articola in otto capitoli suddivisi in quattro parti, precedute da una Presentazione (di Giovanni Del Missier) e dall’Introduzione generale e seguiti dalla Conclusione generale e da un’ampia Bibliografia organizzata ripercorrendo lo schema del libro.
La seconda parte, intitolata Eziologia, considera le Cause di natura individuale (cap. III) e le Cause di natura istituzionale (cap. IV) degli abusi su minori e soggetti vulnerabili commessi da chierici. Dal percorso emerge l’inadeguatezza della generalizzata espressione “prete pedofilo” relativa al fenomeno degli abusi sui minori da parte del clero: l’alta percentuale di abusi non dovuti a uno specifico disturbo pedofilico suggerisce di adoperare la più generica espressione “chierici child molester” che chiama in causa una eziologia multifattoriale. I fattori istituzionali, che pur non essendone causa diretta possono aver contribuito all’insorgere del fenomeno degli abusi, vanno ricondotti in particolare alla carenza di formazione umana, tenendo presente che non si tratta di una problematica esclusivamente legata all’area sessuale, ma anche all’abuso di potere. Da qui, l’auspicio che «oltre alla possibilità di un trattamento terapeutico e di un sostegno spirituale per accompagnare sia le vittime che i perpetratori, la Leaderschip possa intervenire su queste dinamiche sistemiche, enfatizzando la dimensione diaconica del potere e quella carismatica del celibato» (p. 206).
Merita di essere sottolineato un argomento che emerge nel quarto capitolo a proposito del nesso tra abuso di potere e abuso sessuale: «il mancato rispetto dei limiti, ovvero la profonda violazione dell’etica professionale che conduce il chierico a situarsi in una ‘zona proibita’ (forbidden zone)».
La terza parte considera il Contributo della Teologia Morale e assume, quindi, un valore particolarmente rilevante sia per la qualifica formale del lavoro di Busiello, nel suo specifico percorso accademico, sia per un allargamento dell’orizzonte della riflessione ecclesiale sul tema degli abusi, per lo più concentrato, in genere, sugli aspetti giuridici e clinici.
L’apporto della riflessione teologico morale alle problematiche dell’abuso viene sviluppato in due capitoli: L’Analisi del fenomeno alla luce della complessità dell’agire personale (cap. V) e il Discernimento morale di alcune questioni dilemmatiche (cap. VI).
Alla luce dell’interpretazione dell’atto umano nell’orizzonte dell’agire personale, libero e responsabile, l’autore giunge a puntualizzare la specifica malizia dell’abuso sui minori perpetrato da un chierico. Il coinvolgimento di un bambino in un atto sessuale appare espressione di una «radicale cattiveria che non può essere in alcun modo scusata, scartando a priori – nel caso di un chierico child molester – la possibilità di una coscienza invincibilmente erronea. Si configura pertanto sul piano oggettivo il giudizio morale di intrisece malum» (p. 228), ovvero di un’azione che nessuna intenzione o circostanza può rendere giustificabile. Pur riconoscendo la complessità di ogni valutazione della responsabilità soggettiva, nella considerazione della forza condizionante dei limiti della libertà che possono diminuire in alcuni casi la responsabilità di un prete abusatore, si può e si deve, tuttavia, «affermare che: la libertà e la responsabilità – caratteristiche essenziali della condizione umana – in un chierico child molester devono sempre essere ragionevolmente supposte e, anche in presenza di patologie psichiche, non deve mai essere aprioristicamente negata – almeno in causa – la loro possibilità di esercizio» (p. 232). Si deve poi certamente considerare, nel quadro complessivo di una riflessione morale sulla responsabilità degli abusi, anche l’eventuale «nesso esistente tra la responsabilità personale (del chierico child molester) e quella istituzionale (della inadeguata risposta da parte della leaderschip ecclesiastica)» (p. 233).
La quarta parte, Alla luce del principio bioetico della vulnerabilità, conclude il percorso con gli ultimi due capitoli: La vulnerabilità (cap. VII) e La piaga degli abusi sessuali sui minori nella Chiesa cattolica alla luce della vulnerabilità cap. VIII.
Il senso di questi capitoli, che costituiscono anche l’elemento di maggiore originalità del lavoro di Busiello, è ben evidenziato da Giovanni Del Missier, nell’Introduzione.
Le considerazioni etiche si completano dunque in una precisa scelta di campo ecclesiologica, ovvero in un’autocomprensione della Chiesa a che riconosce nella categoria della vulnerabilità l’orizzonte ermeneutico adeguato.
In questo quadro poteva forse essere interessante anche un confronto più diretto con la controversa presa di posizione del papa emerito, Benedetto XVI, che nell’intervento del 12 aprile 2019, scritto per una rivista bavarese, individuava la matrice del problema degli abusi primariamente nella rivoluzione sessuale del 1968 che avrebbe condotto a una visione estrema della libertà sessuale, aprendo così la strada al superamento dei limiti, anche nel contatto coi minori. Certo, l’ermeneutica storica ed eziologica, sviluppata da Busiello, pare condurre, di per sé, in tutt’altra direzione rispetto a quella suggerita dal papa emerito, tuttavia ritengo che, di fronte ai numerosi casi di abuso registratisi effettivamente negli anni ’70 e ’80, non si possa escludere che la rivoluzione sessuale e la messa in questione di valori morali tradizionali possa avere ingenerato, o esasperato, fenomeni di dissociazione proprio in quei preti che precedentemente avevano ricevuto un’educazione eccessivamente repressiva e clericale, in una sorta di “tempesta perfetta”, per usare una metafora metereologica.