di Stefano Liccioli · No, il titolo di questo articolo non è un richiamo alla celebre definizione che Dante riservò alla Vergine Maria:”Figlia del tuo Figlio”. Esso si riferisce piuttosto ad una tendenza relazionale che riscontro sempre più spesso tra genitori e figli e che vede attribuire, in toto, a questi ultimi la responsabilità di scelte su temi che invece, a mio avviso, meriterebbero di essere indirizzate o quanto meno supportate dai propri genitori. A scanso di equivoci non alludo a figli e figlie maggiorenni e neppure adolescenti (anche se per quest’ultimo caso si potrebbe fare un discorso a parte): parlo di bambini e bambine che non arrivano a 10 anni. Sempre a scanso di equivoci non faccio riferimento alla scelta di quale gusto di gelato prendere o per che squadra tifare: parlo di decisioni che riguardano i percorsi d’iniziazione alla vita cristiana, il tipo di scuola da frequentare. Non sto auspicando,ovviamente, che i genitori si sostuiscano ai propri figli nelle decisioni da prendere. La mia riflessione riguarda piuttosto il fatto che i genitori mi sembrano trincerarsi sempre più spesso dietro la libertà di scelta dei propri figli per nascondere invece una propria difficoltà a prospettare loro altre possibili opzioni, magari contrastanti con i loro gusti, ma forse più formative. Una valutazione che un adulto può fare alla luce della sua esperienza che dovrebbe mettere a disposizione delle nuove generazioni. Il problema è che un’altra delle fatiche genitoriali è quella d’accettare di mettersi in contrasto con i propri figli. “Se mi vuoi bene, dimmi no” era il titolo di un libro di Giuliana Ukmar che alla luce di quanto ho detto appare particolarmente attuale.
Il “laissez-faire” educativo, tanto per mutuare un’espressione propria del liberalismo economico, non mi convince: se in apparenza sembra frutto di un approccio educativo democratico ed accogliente, dall’altra mi pare un modo di lasciare bambini e bambine da soli di fronte alle piccole e grandi scelte della vita. Una libertà è vera se siamo informati (o più informati possibile) su tutte le opzioni che sono in campo e chi può dare queste informazioni ai figli se non in primis i propri genitori? Degli adulti cioé che hanno una visione della vita più ampia di quanto possiamo avere da piccol. La capacità di scegliere non è qualcosa d’innato che viene dato una volta per tutte, ma deve essere educata, anche attraverso i no che aiutano a crescere, così come grazie ai fallimenti. Questo e molto altro rientra nella responsabilità educative che i genitori hanno nei confronti dei propri figli e che li porta ad accompagnarli sul cammino della vita, senza sostituirsi a loro, ma anche senza lasciarsi soli.
A proposito dei fallimenti lo psicologo Matteo Lancini ha affermato considerazioni interessanti come questa:«Oggi bisogna che ci sosteniamo rispetto al fatto che la società del successo mal tollera l’insuccesso. Invece il fallimento è fondamentale: non lo dico superficialmente o per dare un supporto consolatorio. È difficile costruire la propria identità, il vero sé, senza fallimenti. Il percorso della vita non è fatto solo di successi. Il fallimento è una parte dolorosa, a volte molto dolorosa, al punto che spinge molte persone a non tollerarlo emotivamente mettendo in scena anche agitimolto drammatici. Ma invece l’insuccesso è parte del percorso di crescita.Nel momento in cui si fallisce si stanno costruendo delle aree di possibile realizzazione di sé». Ha osservato ancora Lancini:«Oggi è molto difficile fallire: tollerare la frustrazione del fallimento. E spesso anche i genitori, quando vedono il fallimento dei propri figli, lo percepiscono come un proprio fallimento».
Tutto quello che ho sostenuto in questo articolo non è per colpevolizzare i genitori, ma è per mettere in evidenza che oggi che più mai la formazione delle nuove generazioni non può essere una questione privata che riguarda solo le famiglie. Queste ultime, piuttosto, devono trovare sinergie ed alleanze educative con tanti soggetti e realtà della società.