di Carlo Parenti · Viviamo in una società disumanizzata, dove l’apparire sostituisce l’essere, dove le persone vengono manipolate e usate come strumenti materiali da poteri cinici, dove il denaro è la misura del tutto. Denaro che è sempre più in poche mani e le diseguaglianze ogni giorno aumentano (ce ne siamo occupati più volte).
Si legge nella Dilexit nos, la quarta enciclica di papa Francesco del 24 ottobre 2024 (vedi) ove si ritiene necessaria- in un mondo che sembra aver perso il cuore- una vera e propria conversione, anche per la Chiesa. E ciò- richiamandosi anche a quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli Tutti -nella consapevolezza che solo l’amore di Cristo renderà possibile una nuova umanità:
«Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre». (cfr n. 218).
A me pare significativo che dieci giorni prima, il14 ottobre, il Premio Nobel per l’Economia del 2024 sia stato conferito a Daron Acemoglu e Simon Johnson, entrambi del Massachusetts Institute of Technology, (MIT), nonché a James A. Robinson dell’Università di Chicago, per le loro ricerche sulla diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza tra le nazioni.
Mi spiego. I loro lavori hanno gettato nuova luce sui meccanismi che determinano la ricchezza o la povertà dei paesi, mettendo in evidenza il ruolo cruciale svolto dalle istituzioni politiche ed economiche.
Io-forse ingenuamente- ho sempre pensato che sia necessario capire come è perché si siano create le diseguaglianze che hanno reso oggi il denaro così disumanizzante. Da questo poi si può cercare di riformare le cose attraverso le istituzioni. Del pari ho pure creduto che il sociale da solo non basti se l’uomo non operi anche congiuntamente col proprio cuore.
Jakob Svensson, presidente del Comitato per il Premio Nobel per l’Economia, ha commentato: “Ridurre le enormi differenze di reddito tra i paesi è una delle più grandi sfide del nostro tempo. I vincitori hanno dimostrato l’importanza delle istituzioni sociali per raggiungere questo obiettivo”. Le teorie sviluppate dai tre economisti hanno importanti implicazioni per l’attuale dibattito sulle disuguaglianze globali. In un mondo in cui il divario tra paesi ricchi e poveri rimane significativo, nonostante decenni di politiche di sviluppo, il loro lavoro offre nuove prospettive su come promuovere una crescita economica inclusiva e sostenibile.
Il comitato del Premio Nobel ha riconosciuto il contributo fondamentale dei tre economisti nell’identificare le radici storiche delle attuali disparità economiche tra nazioni, che affondano nel periodo coloniale.
I lavori di Acemoglu (vedi), Johnson (vedi) e Robinson (vedi)partono dall’osservazione di un fenomeno paradossale: in alcuni casi, paesi che erano relativamente poveri al momento della colonizzazione sono diventati più prosperi nel lungo periodo, mentre alcune ex colonie un tempo ricche sono ora in condizioni economiche peggiori.
La chiave per comprendere questo apparente paradosso sta nel tipo di istituzioni introdotte dai colonizzatori. In territori considerati poco attraenti per l’insediamento europeo, spesso furono create “istituzioni estrattive”, finalizzate allo sfruttamento delle risorse locali a beneficio dei colonizzatori. Al contrario, in luoghi dove gli europei pianificavano di stabilirsi a lungo termine, furono più propensi a sviluppare “istituzioni inclusive“, che garantivano diritti di proprietà, stato di diritto e opportunità economiche più eque.
Le ricerche degli economisti hanno dunque evidenziato un pattern significativo nello sviluppo istituzionale delle ex colonie. In territori che inizialmente sembravano offrire limitate opportunità di sfruttamento economico immediato, i colonizzatori europei furono più propensi a stabilire “istituzioni inclusive”. Queste strutture, caratterizzate da una più equa distribuzione del potere politico ed economico, si sono rivelate nel lungo periodo fondamentali per promuovere uno sviluppo economico sostenibile e diffuso. Questo modello spiega, ad esempio, perché alcune ex colonie dell’America del Nord e dell’Oceania siano oggi tra le nazioni più ricche del mondo, mentre molti paesi ricchi di risorse naturali in Africa e Sud America faticano ancora a raggiungere livelli simili di prosperità.
Per approfondire il tema consiglio vivamente di consultare alcune fonti del presente testo:
– il sito dei Premi Nobel (vedi) – in particolare i capitoli Popular information e Advanced information);
-un testo di Daron Acemoglu su: Domenica/Il Sole 24 Ore del 20 ottobre 2024 (vedi);
– un interessantissimo libro di uno dei più autorevoli storici dell’economia: ‘Guido Alfani, Come dèi fra gli uomini. Una storia dei ricchi in Occidente (2024-Editori Laterza- p. 536)’. Sul sito Laterza c’è un amplissimo estratto della prefazione e degli abstract dei capitoli (vedi). Si tratta per la prima volta la grande storia dei ricchi e dei super-ricchi in Occidente, di chi sono i ricchi, di come lo si diventa e del perché le ricchezze tendono ad accumularsi nelle mani di pochi. I ricchi, oggi, sono ammirati e lusingati. Allo stesso tempo, biasimati e disprezzati perché riluttanti a contribuire al bene comune, opponendosi persino a misure d’urgenza. La storia suggerisce che questo è uno sviluppo preoccupante – per i ricchi e per tutti gli altri.