«Della vita di Gesù Cristo» di Vito Fornari, fonte della «Ecclesiam suam» di Paolo VI
È questa una delle affermazioni più centrali e significative della “Ecclesiam suam” di Paolo VI del 6 agosto 1964.
Come è noto, la prima enciclica di Paolo VI, non ha inteso dare indicazioni di carattere dottrinale (che in quel determinato momento competevano alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa, che il Concilio stava elaborando) ma ha voluto offrire alla Chiesa stessa un’esortazione a vivere il kairos del Concilio, attraverso una ritrovata e più profonda coscienza di sé, un conseguente rinnovamento ed una nuova disponibilità al dialogo.
Fra le fonti teologiche che hanno permesso al Papa di elaborare tale parenesi si devono certamente ascrivere autori coetanei di Montini, come Journet, de Lubac e Congar, da lui molto stimati e costantemente frequentati già dagli anni giovanili. Un ruolo di grande rilievo, nella ispirazione dell’impianto della “Ecclesiam suam” in particolare e del pensiero montiniano in generale, andrebbe tuttavia riconosciuto anche alle idee suggestive offerte da Vito Fornari (1821-1900), prete scrittore, teologo e filosofo del secolo XIX, nella sua opera, “Della vita di Gesù Cristo libri tre” (prima edizione: Firenze 1869-93).
Autore, certo, “inconsueto” per la letteratura teologica a noi contemporanea, ma ben conosciuto ed apprezzato da Papa Montini, Fornari era riuscito ad elaborare una vera e propria teologia della storia in chiave cristologica, assumendo criticamente elementi della filosofia platonica. Gli spunti più interessanti per comprendere la possibile influenza di Fornari sul pensiero di Paolo VI si possono ravvisare soprattutto nell’ambito ecclesiologico. Più esattamente nel rapporto fra cristologia ed ecclesiologia.
Fornari concepisce, infatti, la Chiesa come “una confessione viva e perenne della morte e della risurrezione di Gesù”, che “attestando la morte e il risorgimento di Cristo, i quali due fatti palesano, l’uno la verità della sua natura umana, e l’altro della sua natura divina, afferma con questa testimonianza l’unione delle due nature, ed esprime la propria coscienza di Lui, nella quale coscienza la misteriosa unione fu fatta e consumata”. Partendo da questa premessa, Fornari giunge, con espressione inusitata ma di indubbio effetto, a definire la Chiesa come “una frase della coscienza di Cristo, una frase i cui elementi sono persone e operazioni umane” (V. Fornari, Della vita di Gesù Cristo. II, Torino 51949, 570-572).
La Chiesa è l’impronta della persona di Cristo “fatta e rimasta immortale in vivente materia, cioè in umane persone”. Tale materia, osserva Fornari con un’immaginosa espressione che ricorda da vicino quanto poi affermerà Paolo VI nella “Ecclesiama suam”, dovrebbe “esser oro tutta, oro fino, puro, brillantante, me se anco è argilla ed impura argilla, la forma non si muta, né viene mai violata la verginale bellezza interna di lei” (ibid., 572).
Cristologia, ecclesiologia ed antropologia si congiungono in questa visione che raggiunge un effetto, per così dire, estetico: nell’uomo Cristo Gesù, nella sua coscienza divino-umana, il pensiero di Dio sull’uomo prende forma storica e diventa polo di attrazione per tutta la progenie di Adamo, per l’umanità chiamata a ritrovare il suo autentico senso, la sua genuina vocazione originaria.
Paolo VI fa, nella “Ecclesiam suam”, a sua volta, riferimento all’idea di una Chiesa santa nel pensiero divino, quale fondamento di quella permanente tensione alla santità che deve caratterizzare la vita della Chiesa stessa nella sua fase storica.
La “concezione ideale” della Chiesa trova la sua radice nella coscienza “storica” di Cristo. L’archetipo dell’umanità rinnovata deve, cioè, essere considerato nell’autocoscienza emersa dall’umanità di Cristo e delineatasi nella sua concreta vicenda storica. In altre parole, è Cristo nel suo mistero e nella sua singolare vicenda storica umano-divina che, per Paolo VI, diventa il modello della Chiesa e, nella Chiesa e per la Chiesa, il modello di ogni singola anima.
L’interpretazione della morale come sequela Christi trova in queste premesse un fondamento evidente.
Se la Chiesa nella sua concezione ideale va colta nel pensiero di Cristo la concezione ideale della Chiesa non potrà allora prescindere da quella dimensione pasquale che ha costituito l’asse portante della vicenda storica in cui la coscienza di Cristo si è delineata. Non semplicemente il Verbo incarnato risulta esemplare dell’umanità chiamata, della Chiesa, ma il Verbo incarnato in questa storia, in questa economia di redenzione costitutivamente segnata dal mistero pasquale.
Se il mistero pasquale diventa illuminante, in questa prospettiva, per cogliere l’essenza della Chiesa, pare pure possibile vedere proprio nel mistero della morte e risurrezione del Signore il nesso profondo fra la missione ecclesiale e l’agire morale del cristiano. Il senso della Chiesa, per dirla con Fornari, è quello di essere “un vivente testimone, una confessione viva della morte e della risurrezione di Gesù” (Fornari, Della vita di Gesù Cristo, 570). L’agire morale del cristiano potrà inserirsi nel senso della Chiesa nella misura in cui saprà essere “improntato” al mistero della Pasqua del Signore, cioè all’orientamento della concreta vicenda umano-divina di Gesù Cristo. Attraverso di essa si è realizzata, di fatto, la salvezza. È nella Chiesa che la salvezza deve attualizzarsi, per compiersi nella vita di ogni singolo che voglia accoglierla.