Daniélou: 50 anni fa la morte… l’anticonformismo teologico e il Vangelo

Mi riferisco al gesuita francese e cardinale, Jean Daniélou, morto alla fine di maggio di 50 anni fa, alla porta della casa di una donna che le cronache puritane dell’epoca avrebbero definito “chiacchierata” o “di malaffare”. Una morte disonorevole, almeno all’apparenza. Una morte che ha fatto scatenare la chiacchiera pruriginosa e ha aperto facilmente il fianco agli strali anticlericali della Francia e della Parigi da poco uscite dal loro ’68: nel maggio di sei anni prima a quella morte. E tutto il resto della vita di colui che era stato uno dei teologi più significativi e decisivi della stagione pre- e post-conciliare passò – almeno per un po’ – nel dimenticatoio. Ma la Provvidenza (e la verità) ha i suoi giri e non la puoi prevedere e neanche fermare. E bastò ascoltare chi quella morte la vide accadere davanti a sé, per sapere come andò quella morte e perché il gesuita da poco cardinale si trovasse a quella porta. E quella morte, all’apparenza disonorevole – ma che avvenne mentre Daniélou era andato ad aiutare economicamente quella donna – divenne realizzazione del Vangelo di Gesù disprezzato e reietto, secondo la stessa preghiera di Daniélou che compare nei suoi Diari spirituali del 1938: «accettare di essere disonorato, anche agli occhi di coloro che amo, se Egli lo permette».

Ma chi è stato Daniélou? Chi è stato nella Chiesa e nella teologia novecentesche? Innanzitutto, pare necessario cogliere la decisività della sua appartenenza alla grande stagione del gesuitismo francese dello scorso secolo. È sufficiente qui rievocare i nomi dei grandi teologi e dei grandi uomini della Compagnia: de Grandmaison, Lebreton, de Lubac, Féssard, de Certeau, Tilliette… anche Teilhard de Chardin che pure in Francia abitò ben poco, ma crebbe in quel contesto. E ancora prima – stroncato ancora giovane da una granata mentre si trovava a esercitare il proprio servizio di cappellano dell’esercito francese, tra le trincee dell’“inutile strage” – Pierre Rousselot. Di tutti questi pensatori e teologi gesuiti francesi si apprezza l’originalità del pensiero, l’apertura alle grandi domande della modernità, ma anche la fedeltà alla comunione ecclesiale. Daniélou si staglia con un proprio profilo in questo contesto dinamico e mosso, originale e complesso.

Nacque in una famiglia dell’alta borghesia parigina, nel 1905: annus horribilis per la Chiesa in Francia, con l’abrogazione unilaterale del Concordato napoleonico del 1801, mediante la Legge di separazione tra Stato e Chiesa. Daniélou portava nella sua stessa famiglia i segni della grande divisione interna alla società francese della Belle Époque: il padre politico e più volte ministro di ispirazione fermamente anticlericale, la madre fervente cattolica e innovativa educatrice delle donne, il fratello Alain minore di due anni che diventerà uno dei più noti indianisti di origine europea. Una realtà familiare di partenza – caratterizzata da cosmopolitismo, differenze di prospettive, serietà dell’impegno – che non potrà non segnare il suo pensiero. Dopo l’entrata nella Compagnia e l’ordinazione presbiterale, Daniélou si segnala come docente di storia antica e di patristica presso l’Institut catholique e come fondatore assieme ad un altro gigante della teologia novecentesca (von Balthasar) di Sources Chrétiennes, celeberrima collana di edizioni di testi patristici (e poi anche medievali), il cui primo volume – con l’edizione della Vita di Mosè di Gregorio di Nissa – fu curato proprio da lui.