Cristo, che «ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10,14)

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di Stefano Tarocchi · C’è un’espressione della Lettera agli Ebrei che ha bisogno di essere correttamente interpretata per non restare oscura per quanti ascoltano o leggono questo splendido testo del Nuovo Testamento. Splendido quanto sconosciuto o, meglio, di fatto trascurato, nonostante la sua enorme ricchezza teologica che è possibile afferrare soltanto venendo a capo delle sue dinamiche espressive.

Non è perfettamente chiara la ragione per cui la Lettera agli Ebrei rimanga ai margini della spiritualità e della riflessione biblica. Potremmo però anticiparne almeno un paio: di fatto, parla soltanto del sacerdozio di Cristo, ottenuto peraltro in virtù della sua obbedienza alla volontà del Padre: «conveniva che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza [= lett. “colui che apre la strada della salvezza”]» (Eb 2,10). E ancora, Gesù, «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì, e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9).

E ancora: «la Legge costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, [costituisce sacerdote] il Figlio, reso perfetto per sempre» (Eb 7,28).

Qui sta tutta l’anomalia del sacerdozio riferito a Cristo, che non deriva dalla sua nascita: Gesù non appartiene alla tribù di Levi, bensì a quella di Giuda. Egli non poteva quindi essere sacerdote, né tantomeno sommo sacerdote. Per cui doveva esserci un modo diverso di costituirlo in questa dimensione, come dice la Lettera agli Ebrei.

Lo spiega bene lo stesso scritto: «entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà». Dopo aver detto: Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» (Eb 10,5-10). Questa espressione avverbiale si contrappone al seguente passaggio: «ogni sacerdote – dell’antica alleanza! – si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi (Eb 10,11-13).

Un lettore inesperto potrebbe chiedersi però dove si trova il riferimento preciso al sacerdozio. Ebbene la chiave è questa espressione: “rendere perfetto”. Di fatto, Dio rende perfetto Cristo attraverso le sue sofferenze, attraverso il dono della sua volontà. Ed è per questo che egli diventa «colui che apre la strada della salvezza», come va tradotta quella misteriosa espressione che abbiamo poc’anzi incontrato, quando il testo aggiunge che «con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10,14).

Così la lettera agli Ebrei, questa sorta di omelia costituita in forma di lettera dal suo autore che ci è sconosciuto, completa questo pensiero, occupandosi non solo del sacerdozio di Cristo, ma anche del sacerdozio comune di tutti i battezzati.

Si tratta di uno dei punti chiave del ragionamento di questo testo, collocato nel canone dopo la fine delle tre lettere attribuite a Paolo. Motivo questo che lascia trasparire l’antico collegamento con gli scritti dell’apostolo, tanto che fino a qualche decennio fa faceva comunemente leggere: Dalla lettera agli ebrei di San Paolo apostolo.

Ed è quindi concluso nella sezione parenetica dello scritto, quando oppone l’antica alla nuova alleanza. E questo è tanto più significativo perché l’autore, al fine di mostrare l’incapacità della antica alleanza di raggiungere il suo obiettivo, elimina lo stesso nome di Dio dal riferimento alla descrizione di quella: «voi non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano <Dio> di non rivolgere più a loro la parola. Non potevano infatti sopportare quest’ordine: Se anche una bestia toccherà il monte, sarà lapidata. Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele» (Eb 12,22-24)

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Stefano Tarocchi

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