Considerazioni sull’odierna irrilevanza del cattolicesimo ma segno di contraddizione.
Sul Catholic Herald, il principale settimanale cattolico britannico, l’Editoriale di questo mese presenta la prospettiva per la Gran Bretagna di trovarsi dopo le elezioni generali del 4 luglio ad avere, per la prima volta un primo ministro, Sir Keir Starmer leader del partito laburista, dichiaratamente ateo. Starmer non sarebbe il primo non credente a guidare il governo, sarebbe però il primo ad ammetterlo apertamente, mettendo la comunità cristiana di fronte al fatto compiuto di come il non credere sia talmente diffuso in politica da risultare irrilevante per l’elettorato.
Nel 2021 i risultati del censimento britannico rivelarono che meno della metà della popolazione (il 46%) si identificava come cristiana, soprattutto tra i giovani, evidenziando anche che l’emarginazione del cristianesimo dalla vita pubblica e sociale è stata una perdita, sia dal punto di vista sociale che da quello spirituale. Infatti, se la Gran Bretagna è oggi una società più atomizzata, più individualista, più solitaria, uno dei motivi è che la gente non frequenta più una chiesa, centro di vita sociale e comunitaria, benché molti altri frequentino una moschea.
Della vecchia società cristiana resta quella cosa ambigua che è il “cristianesimo culturale”, ossia la condizione di quanti hanno avuto una famiglia cristiana, hanno una vaga familiarità con le storie della Bibbia, amano l’arte cristiana e si identificano genericamente con un’etica cristiana, si trovano a proprio agio nel leggere le Scritture cristiane durante le funzioni religiose nelle ricorrenze nazionali ma non professano una sola parola del Credo, in modo che il “cristianesimo culturale” non è una fede ma il residuo o l’impronta della fede.
È una situazione che ad una attenta analisi sembra estendersi a gran parte delle società europee, compresa l’Italia, con la prospettiva che, mancando un’esperienza e una conoscenza attuale della visione cristiana, ancora per poco la gente continuerà ad avvertire affinità con il cristianesimo e questo tenue legame difficilmente potrà sopravvivere nelle prossime generazioni.
È anche una situazione, fatte le dovute differenze, analoga a quella in cui si trovava Leone XIII a fine ‘800, il quale aveva di fronte una realtà sociale e politica avversa al cristianesimo che lo condurrà ad elaborare un metodo di lavoro e di presenza ispirato a quello dei primi cristiani, che appare di grande validità ancora oggi.
Tale metodo lo troviamo illustrato nelle encicliche Diuturnum illud (1881) e Au milieu des sollicitudes (1892) dove,
prima di tutto si ribadisce che «non c’è autorità se non da Dio» (Rm 13,1) nel senso chiarificato già da S.Giovanni Crisostomo (344-407 d.c.) espressamente citato in Diuturnum. Ovvero “autorità” intesa non come una persona ma come una “res”, cioè come una “funzione” necessaria e voluta da Dio per il bene della vita associata, tanto che venendo meno il fondamento dell’autorità in Dio «non sarà l’abbondanza delle ricchezze né la potenza delle armi a salvarlo [il popolo] dalla decadenza morale e, forse, dalla dissoluzione» (Au milieu des sollicitudes).
Ovviamente tale fondamento per essere universalmente riconosciuto suppone l’esistenza di una società cristiana che, come a fine ‘800 rilevava anche Papa Leone, era ormai solo un ricordo del «tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società» (Immortale Dei, 1885).
Nonostante questo Leone XIII non rinunciava a indicare quel metodo di lavoro e di presenza cristiana come ideale perfettivo della società e della stessa autorità civile, rifacendosi alla “scelta pastorale” operata dalla prima Comunità cristiana sotto l’impero pagano. A quell’epoca la Chiesa trattava il potere politico non secondo la rappresentazione che esso dava di sé, ma quale era considerato dalle Scritture e dalla retta ragione, cioè una “res/funzione” fondata sull’ordine naturale voluto da Dio, insegnando ai cristiani a rispettarlo come tale, nonostante i governanti non ne avessero ancora piena coscienza. Allo stesso tempo, però, insegnava anche a resistergli quando travalicava i suoi limiti, violando il bene comune e arrogandosi i diritti di Dio.
Fu un metodo realistico che permise alla Chiesa, in una società non cristiana, di esercitare ugualmente il suo compito di presidio al bene comune e di servire l’autorità civile quando ancora questa non le riconosceva alcuna autorità, che Papa Leone considerava esemplare anche per la sua epoca.
Per quanto concerne i tempi attuali si potrebbe tuttavia osservare che il paganesimo antico, precristiano, aveva comunque una sua religiosità, mentre quello moderno è un paganesimo postcristiano, incattivito con il Cristianesimo e con la stessa religiosità, caratterizzato da un’indifferenza radicale. Oggi la Chiesa neppure si trova più di fronte a un Nietzsche che dice “Dio è morto”, ma a chi dice “di Dio che me ne importa”.
In tali condizioni il principio dell’origine divina dell’autorità è del tutto inconcepibile, ma ciò non impedisce di avere con Leone XIII uno sguardo fisso sul futuro, che supera tutte le difficoltà. Nell’enciclica Au milieu des sollicitudes egli annota: «Abbiamo voluto richiamare sommariamente il passato, affinché i cattolici non nutrano motivo di sconcerto per il presente. La lotta è sostanzialmente sempre la stessa: Gesù Cristo è perennemente fatto segno delle contraddizioni del mondo. I mezzi impiegati dagli attuali nemici del Cristianesimo sono sempre gli stessi, (…) anche se appena modificati nella forma. Ma sono parimenti identici i mezzi di difesa, già chiaramente indicati ai cristiani del nostro tempo dai nostri Apologisti, Dottori e Martiri. Ciò che essi hanno fatto, spetta pure a noi di farlo. Mettiamo dunque al primo posto la gloria di Dio e della sua Chiesa; lavoriamo per lei con impegno costante e sincero, e lasciamo il compito di determinare l’esito a Gesù Cristo, che annuncia: “Nel mondo voi sarete oppressi, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo”».