di Francesco Romano • Nel breve saggio intitolato “La realtà umana del Signore” Romano Guardini svolge una meditazione filosofica e teologica sulla frase del credo “Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est”, convinto che ai nostri tempi di secolarizzazione, la fede cristiana incontra molte difficoltà e talvolta non è vissuta con fermezza e ardore per il fatto che la figura di Gesù non brilla nella sua vera luce davanti alle anime, ma si presenta ora confusa e sbiadita, poco sostanziale, scarsamente caratteristica ed efficace nella sua genuina umanità, ora deformata da usurpazioni ideologiche le quali precludono la visione della sua divinità.
Lo sforzo di Guardini è di recuperare con prudenza e acutezza la vera immagine di Gesù mettendo a contributo i testi del Nuovo Testamento, lungi dal pretendere di contrapporre le parecchie immagini di Cristo, di scoprire così la più semplice e la più antica, separandola dalle cosiddette rappresentazioni successive. Guardini congiunge la luce che proviene da tutti gli scrittori neotestamentari in un intento di convergenza e di complementarietà.
Tra le riflessioni che fa sulla realtà umana di Gesù, Romano Guardini si sofferma su quella molto suggestiva che riguarda il pensiero di Gesù, come ha pensato Gesù, che carattere hanno i pensieri che Egli ha espresso.
Se noi confrontiamo i suoi pensieri con quelli di altre personalità religiose, essi appaiono molto semplici, per lo meno come li incontriamo nei Vangeli sinottici. Se noi però prendiamo la parola “semplici” nel senso di “facilmente comprensibili” oppure “primitivi”, allora questa impressione scompare appena li osserviamo più attentamente.
Così possiamo dire in modo più esatto che il pensiero di Gesù non analizza, né costruisce per sintesi, ma presenta dei dati di fatto fondamentali, e ciò in modo che nello stesso tempo illumina e inquieta. Solo raramente i suoi pensieri, soprattutto in San Giovanni, entrano nella metafisica. Ma anche in questi casi essi non fanno altro che dire ciò che è, soltanto che Egli parla proprio delle altezze e dei segreti dell’essere di Dio e del mistero della vita cristiana. Generalmente però il pensiero di Gesù nella misura in cui si è manifestato nelle sue parole, rimane vicino alla realtà immediata delle cose, degli uomini e di Dio che Egli incontra. Il suo pensiero è del più denso realismo, di una realtà, beninteso, qual è quella dell’uomo rivelato dal giudizio di Dio ed è rinnovato dalla sua grazia.
Così Gesù non parla, per esempio, di come sia venuto a formarsi il mondo, né quale sia la sua essenza. Per Lui è evidente che esso è stato creato da Dio e ha senso in Dio, che ogni cosa è nelle sue mani e che tutto da Lui viene guidato verso un avvenire di santificazione.
Gesù non parla espressamente neppure della natura di Dio. Egli presuppone quello che la rivelazione del Vecchio Testamento ha detto di lui e la porta al suo compimento perfetto, in quanto Egli rende manifesto in qual modo Dio sia persona, e in se stesso dice “io” e “tu”. Ma non in modo teorico, come un filosofo o un teologo, invece in maniera del tutto concreta. Egli vive questa realtà di Dio e parla attingendo da essa tutte le volte che se ne presenta l’occasione. Gesù parla in modo particolarmente insistente del Padre. Non che Egli sviluppi o spieghi il mistero di questa paternità, esponendo come essa debba essere pensata e quale relazione abbia con una paternità umana, ma Egli dice quali sono i sentimenti di suo Padre, che cosa Egli fa e in qual modo l’uomo deve seriamente tenere conto della paternità divina; solo allora Egli otterrà un vero incontro con Dio e conseguirà un’intima consapevolezza della sua natura.
L’ultima parola riguardo al Padre è rivelata da Gesù in forma di preghiera. Una preghiera però non è una dottrina, è piuttosto un’istruzione e una direttiva per una azione da compiere. Non esiste per essere pensata, ma per essere compiuta. Quando la preghiera si attua, la persona che prega comprende Colui a cui si è rivolta.
A questo proposito, Gesù parla molto spesso della Provvidenza. Anche in questo caso però in modo per nulla teoretico, ma come espressione immediata di una realtà, tanto che quasi si è tentati di prendere il suo insegnamento come una semplice e pia forma di sapienza popolare, oppure, come nell’immagine degli uccelli e dei fiori (Mt 6, 26-28) quasi come una bella fiaba per i bambini.
In verità il suo modo di parlare presuppone tutta la dottrina dell’Antico Testamento riguardo ai rapporti tra Dio e il mondo. È questo un insegnamento della più grande serietà e importanza e specialmente per noi moderni di una importanza sconvolgente. Gesù non si pone affatto questioni come questa: se è possibile la Provvidenza, oppure, in che rapporto la realtà di Dio sta con i fatti di questo mondo. Ciò che Egli dice è qualcosa di diverso; Egli ci da la chiave per poter realizzare il vero rapporto di fiducia verso la Provvidenza divina, quando dice nel Discorso della Montagna “Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù” (Mt 6, 33).
Queste parole non sono un’affermazione teorica, ma una indicazione del punto d’avvio delle azioni, un invito a incominciare, e la promessa che la forza necessaria ci sarà data. Se l’ascoltatore si affida a Gesù, si accorgerà ben presto che non si tratta di meno che di un capovolgere l’asse dell’esistenza. Nella misura in cui egli lo compie, si avvede quale sia la posizione della realtà.
Nel pensiero di Gesù, per quanto si manifesti nelle sue parole, prescindendo da quello che si trova dietro a esse e che noi conosciamo, non ha alcuna parte la ricerca teoretica sulla natura dell’essere. Ciò non perché essa manchi, ma perché il pensiero di Gesù costituisce un rapporto immediato con la realtà.
I suoi pensieri non vogliono esaminare, chiarire, o edificare costruzioni intellettuali, ma annunziare qualcosa che ancora non c’è, ma che però deve realizzarsi, cioè il Regno di Dio. Essi indicano una nuova realtà e dicono che essa è destinata a noi. Ci avvertono che si sono preparati degli avvenimenti e che stanno per compiersi. Il pensiero di Gesù è pre-teoretico, però non come quello del bambino o dell’uomo primitivo che non si propone nella sua vera e propria serietà il problema della verità, ma è indicativo, per esempio come quello dello scopritore che dice: qui sta avvenendo qualcosa che prima non c’era ancora; c’è una possibilità che voi ancora non conoscete; ci sono forze che finora non erano a vostra disposizione.
Se si approfondisce ancora di più il quesito, ci si accorge che si tratta di qualcosa di diverso e di più essenziale, questa realtà è posta in atto solo da Lui, o, in altre parole, dal Padre per mezzo di Lui. Per esempio il senso di un rapporto filiale verso Dio è possibile solo sulla base dell’esistenza di Gesù. E così Egli parla attingendo dallo stesso evento originario che fonda tale rapporto. Il suo parlare è quindi “autoritativo” nel senso più rigoroso del termine. Solo per il fatto che Egli vive, agisce e parla, esiste, “si dà” per noi la possibilità di ciò che Egli ci annuncia. Soltanto in un momento successivo può incominciare l’elaborazione intellettuale e ci si può chiedere in che cosa consiste quello che Egli ci ha mostrato, quali ne siano gli elementi essenziali, come essi si colleghino e si riconnettano a ciò che già sapevamo. Ciò che Gesù fa, è prima di ogni teoria, perché Lui soltanto la rende possibile.
Con ciò si rende anche chiaro che questo modo di pensare si sottrae alla psicologia. Tutto quello che si può dire è che esso è chiaro, parco, pieno di un grande senso di responsabilità, distaccato da sé, assolutamente privo di vanità, del tutto concentrato nell’essenziale. Egli dice: “Questo avviene”, e lo afferma perché prima ha agito in modo che ciò fosse: “Questa è la realtà. Questo avviene. Questo dovete fare e vi sarà data la forza di realizzarlo. Se voi farete così, avverrà questo e questo”.
Rispetto a tale comportamento, non è possibile più alcuna “psicologia” perché l’oggetto cui essa si dovrebbe indirizzare non è suscettibile di confronto con nessun altro. Si tratta di una rivelazione che è un inizio e che ha il carattere del “dare” e come tale non può divenire oggetto di una analisi. Soltanto nell’ambito di essa, nel senso di una indagine sul modo come questa rivelazione è sentita e praticata, è possibile una analisi psicologica.