«Bisogna che la Chiesa sia pronta per i convertiti, quanto i convertiti per la Chiesa»

321 500 Francesco Romano
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di Francesco Romano · Su questa frase del cardinale Newman, Jean Guitton incentra il suo libro “Le difficoltà della fede”, pubblicato nel 1960 e divenuto un classico. Nella prefazione l’autore indica l’intento da raggiungere: “Offro questo libro ai credenti e agli spiriti illuminati e saldi: esso farà loro comprendere meglio le loro perplessità. Ma più ancora lo dedico alle anime tormentate e sofferenti, affinché intravedano che le loro difficoltà sono forse illusorie, che la questione era forse stata male impostata, confusa. Sono animato da una intenzione che viene definita a meraviglia dalla parola profonda di Newman, divenuto cardinale: “Bisogna che la Chiesa sia pronta per i convertiti, quanto i convertiti per la Chiesa”.

Scrive Guitton che vi sono dei casi in cui il dovere di rispetto verso le coscienze ci trascina a delle infedeltà apparenti nei confronti della verità stessa. Newman, che univa al massimo grado l’amore del passato cristiano con quello per la “meravigliosa epoca in cui viviamo”, ha parlato ripetutamente di quell’arte necessaria nella rappresentazione della verità. Egli, per designarla, si era servito di quell’antica espressione di “economia”, familiare a S. Ireneo e ai primi Padri. L’economia, egli diceva, consiste nel dire soltanto ciò che bisogna dire, quando bisogna dirlo e secondo la capacità degli spiriti a riceverlo.

Può accadere che un uomo, spinto dal desiderio di correggere un abuso, per sviluppare in modo completo una dottrina, ceda all’illusione che spinge un essere effimero a credere che la fine del mondo sia vicina, che sia necessario parlare, che nessuno lo possa sostituire. Allora egli trascura i consigli dell’autorità e rovina con la sua fretta un’opera che il secolo successivo porterebbe a compimento. E ciò è tanto vero in quanto c’è un tempo per ogni cosa, in quanto gli spiriti non acquistano in un giorno solo il loro punto di maturità, le idee hanno il loro sviluppo, gli uomini non vivono secondo il medesimo ritmo di durata, gli uni in anticipo, gli altri in ritardo.

Dio non ha introdotto di colpo il Vangelo nel mondo, ma ha lungamente preparato a riceverlo la nazione che aveva scelto, per mezzo delle sue promesse misteriose fatte e ripetute ai patriarchi, per mezzo della voce dei suoi profeti. Così Dio rispettava il tempo che aveva creato e le lentezze che aveva voluto. Egli seminava, poi attendeva, e, per rendere il suo popolo capace di educare a sua volta tutti i popoli, si faceva egli stesso suo educatore.

Il Cristo infine appare, ed ecco che, a sua volta, sebbene possegga “nascosti in lui stesso i tesori della saggezza e della scienza” (Col. II, 3), parla come parlano tutti sulle questioni che non riguardano la fede. Con gli autori dell’Apocalisse, annunzia che alla fine del mondo le stelle cadranno dal cielo. Sembra persino che creda, assieme ai suoi contemporanei, almeno secondo il testo evangelico, che questo cataclisma debba seguire i tempi messianici, poiché egli dice loro: “Questa generazione non passerà senza che tutto ciò si compia”. Tuttavia, per una restrizione capitale, che fu più o meno ben compresa dai suoi uditori, osserva che il pensiero comune potrebbe anche essere nell’errore, poiché afferma che il Padre solo conosce il giorno che segnerà la fine dei tempi. Se il Cristo avesse voluto fare dei suoi Galilei degli astronomi, oppure se avesse urtato troppo violentemente la convinzione sulla data della parusia, avrebbe rischiato di non essere capito e avrebbe potuto far sorgere dei sospetti sul valore del suo insegnamento religioso.

La tradizione consiste nel continuare, non nel ripetere, e si può trasmettere solo rinnovando. La verità, senza dubbio, è immutabile in sé, ma per noi è sempre in fase di sviluppo, e Newman scriveva nel suo Saggio sullo sviluppo: “I vecchi principi riappaiono sotto nuove forme, e cambiano con esse, onde rinascere identici. Infatti quaggiù vivere vuol dire cambiare, e per essere perfetti bisogna aver cambiato sovente”.

Cerchiamo di comprendere bene in che cosa consista questo rinnovamento che la carità ci propone. Si dice talvolta che la Chiesa si evolve, che si adatta e che cerca di conformarsi. Questi termini sono inesatti, quando non sono ingiusti. S. Tommaso poteva adattare l’aristotelismo al cristianesimo perché l’adattare consiste appunto nel rifare e nel trasformare ciò che è invecchiato o nel dare una nuova destinazione a un organismo in potenza.

La verità cristiana non si adatta perché essa è sempre giovane e già tutta contenuta nel suo seme. Quando vogliamo dare la risposta a una nuova domanda, non è in un compromesso che dobbiamo cercarla. È il momento di raccogliere dentro di noi le voci del di fuori, di riprendere ciò che già conoscevamo e, meglio ancora, di ritrovare ciò che possedevamo in noi senza saperlo.

Non si tratta di adattare una verità antica al mondo moderno, ma di trarre dal tesoro della verità eterna gli aspetti che siano adatti ai nostri tempi e di dimostrare che essa ne può soddisfare i legittimi desideri. Ma è precisamente in questo sforzo che noi facciamo per assimilare le dottrine estranee che la nostra si riafferma e si tempra, che accresce la sua potenza, che ritrova la sua freschezza, che fissa i suoi termini, che manifesta i principi che la guidano a sua insaputa e, per riassumere, che si sviluppa.

Nulla è così fecondo per la verità come queste lotte pacifiche e, se è vero, che la carità, quando ci consiglia la prudenza, impedisce alle nostre verità di corrompersi, è altrettanto vero che, quando essa ci spinge alla conquista delle intelligenze, costringe, per così dire, la verità ad arricchirsi.

La carità può spingere a ritrovare nelle obiezioni dei non credenti la traccia sbiadita della verità e della virtù. Sono in realtà le imperfezioni dei credenti a trattenere spesso fuori dalla Chiesa le anime appassionate di sincerità. Si dice talvolta che la verità è semplice, a condizione però che si sia disposti a paragonare questa semplicità a quella della luce bianca che il prisma scompone in un gran numero di raggi. Per esempio nel XVIII secolo fu permesso ai nemici del cristianesimo di trarre le conclusioni delle verità sociali, racchiuse in potenza nel Vangelo e che i filosofi estesero allora alla società ciò che fino ad allora era stato applicato soprattutto all’individuo. Il trionfo della carità non consisterebbe forse esattamente nell’aiutarci a distinguere nelle teorie sociali dei nostri avversari una fede che si ignora o si smarrisce, nel ritrovare i titoli, nel seguire le tracce fino al Cristo e ai profeti?

Talvolta l’Indice è stato severo anche verso gli stessi autori cattolici, ma forse alcune di quelle condanne hanno avuto come motivo meno l’errore delle dottrine che l’opportunità dei tempi. Chi vorrebbe esporsi a scandalizzare con una novità di esegesi uno solo di quei piccoli per i quali Cristo è morto? È la parola di Pascal che in questo caso è vera: “ci si fa un idolo della verità stessa; la verità, infatti, fuori della carità, non è Dio, ma la sua immagine, e un idolo che non si deve né amare né adorare”.

Ci si sbaglierebbe se si vedesse nel cristiano una specie di compassione velata che lo renderebbe più insinuante sotto le sembianze dell’amicizia. Egli invece ammira questi sforzi, quell’ansiosa ricerca. Egli comprende il valore della verità che lo ha prevenuto senza che la cercasse, e che l’ha amato prima che egli la amasse. Egli ammira e tace in un silenzio pieno di timore, di rispetto e di attesa. Sa benissimo che si cerca da soli, che siamo impotenti ad affrettare certe soluzioni, che vi sono dei dubbi che non si possono risolvere, degli ultimi passi che non si fanno mai.

Attorno a questo cristiano, amico di coloro che non credono, vi sono alcuni che vorrebbero che egli facilitasse di più gli accessi alla religione. Altri, al contrario, lo accusano di venire a patti con i politici, di perdersi con i superbi, di mangiare con i peccatori. Egli prosegue la sua strada.

La verità che egli adora, non la conosce faccia a faccia; la cerca egli pure, attraverso dei veli: è la parte della sua prova. Ma per uno slancio di amore vorrebbe potervisi attaccare e aderirvi come se la vedesse già tutta intera, ed è per questo che può comprendere coloro che la cercano senza averla trovata,

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Francesco Romano

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