Ancora sulla repubblica presidenziale

750 500 Andrea Drigani
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di Andrea Drigani · Su questa Rivista, con due articoli (La «monarchia repubblicana», giugno 2018; La Repubblica e il suo Presidente, febbraio 2022), osservavo che dinanzi all’oggettiva crisi del sistema politico ed istituzionale italiano, anche a motivo del drastico ridimensionamento della funzione dei partiti politici che incide sull’attività parlamentare, era assai opportuno pensare all’introduzione di una repubblica presidenziale come negli USA o come in Francia.

Vorrei ritornare sull’argomento dopo la prima e parziale approvazione del cosiddetto «premierato», che, tuttavia, è estraneo al presidenzialismo.

Le repubbliche, da un esame comparato, si distinguono in presidenziali o parlamentari.

Nel primo caso il Presidente della Repubblica, che è il Capo dello Stato, viene eletto dal popolo (negli USA in modo indiretto, in Francia in modo diretto) nomina il governo o il primo ministro, prende le decisioni politiche, tenendo conto dei compiti del Parlamento, in ordine alla produzione legislativa e agli indirizzi di politica economica, militare e internazionale.

Negli ordinamenti delle repubbliche parlamentari è prevista la figura del Presidente della Repubblica, quale Capo dello Stato, (che può essere eletto dal Parlamento o dal popolo) il quale svolge un’alta funzione di vigilanza, di controllo e di garanzia, ma non detiene la potestà politica, che invece appartiene al Parlamento, che designa, a maggioranza, il primo ministro, come Capo del Governo e ed approva le leggi ed il bilancio.

Da un esame dei vari tipi di repubblica, emerge che il Capo dello Stato, può essere eletto dal popolo o dal parlamento, ed espleta in suo ufficio con gradazioni diverse, ma non esiste, in nessuno Stato repubblicano, l’elezione diretta del Capo del Governo, perchè la sua nomina dipende dalla maggioranza parlamentare, espressione della volontà popolare.

Diverso potrebbe essere il caso di uno Stato monarchico.

In una monarchia, infatti, il Re o la Regina, in quanto Capi dello Stato, non sono eletti, ma sulla base di una consuetudine dinastica ed ereditaria, riconosciuta dalla Costituzione, accedono all’incarico che è svolto nella rigorosa osservanza della Costituzione medesima.

Nella forma monarchica dello Stato può esistere sensatamente l’elezione diretta del Capo del Governo, come in qualche modo, accade nel Regno Unito, laddove il «leader» del partito che ottiene la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei Comuni (che sempre accade per la regola dei collegi uninominali a turno unico), viene subito nominato «premier» dal Sovrano.

Con l’eventuale introduzione del premierato nell’ordinamento costituzionale della Repubblica Italiana si uscirebbe dal sistema parlamentare ma non si entrerebbe in un sistema presidenziale, creando una situazione alquanto ingarbugliata.

Questo causerebbe problemi, non tanto alla democrazia, quanto all’efficace funzionamento dell’attività istituzionale e politica.

Si può, inoltre, osservare, da un punto di vista metodologico, che la revisione della Costituzione Italiana, peraltro espressamente prevista dalla medesima Costituzione, dovrebbe essere promossa non dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene, bensì da un’iniziativa parlamentare che veda il più ampio coinvolgimento possibile dei gruppi politici, per cercare di raggiungere il quorum dei due terzi ed evitare il referendum confermativo.

Come ho già scritto altre volte, ritengo quanto mai conveniente procedere ad una riforma dell’ordinamento costituzionale italiano, anche se, purtroppo, vi sono posizioni duramente contrarie che vogliono il rigido mantenimento dello «status quo»; coloro che auspicano dei cambiamenti sono, tuttavia, invitati a non proporre progetti strani e incomprensibili.

Vorrei, altresì, notare che il presidenzialismo deve essere sempre coniugato col federalismo, che ha anch’esso la mia simpatia, memore delle suggestive intuizioni di Vincenzo Gioberti (1801-1852).

E’ stata approvata una legge che si richiama all’autonomia, ma non ha il sapore del federalismo, bensì quello del separatismo.

Ma questa è un’altra questione che affronteremo una prossima volta.

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