Tristezza e gioia: dai padri del deserto al Joyfest

di Carmel Michela Ranieri · In un mondo che corre, che gira veloce e i cui ritmi sembrano impossibili da raggiungere, risulta assurdo pensare ad una vita lenta, avvolta nel silenzio e nella contemplazione. Questa è la vita che nel IV secolo, iniziarono a condurre i Padri del deserto, un gruppo di uomini che nei deserti dell’Egitto, della Siria e della Palestina, vissero nello spirito di imitazione del Cristo che nel deserto combatte contro il maligno. Uno di loro, Evagrio Pontico in una delle sue opere, l’Antirrethikòs, spiega come combattere i pensieri malvagi insegnando l’arte della liberazione dagli inganni interiori. Gli otto loghismoi (i pensieri maligni appunto) elencati e descritti da Evagrio sono: superbia, avarizia, ira, invidia, lussuria, gola, accidia e tristezza.

La tristezza non è presente tra i sette vizi capitali, perché? Forse Papa Gregorio Magno se la dimenticò nello stillare l’elenco dei vizi? No, non andò proprio così. La tristezza non compare proprio per la sua natura. Questa infatti non è un atto in sè, ma un atteggiamento e il suo campo di battaglia più di tutti gli altri vizi è il pensiero.

I suoi strumenti preferiti sono l’irrealtà, l’ipotesi e l’aspettativa ed intesse spesso le sue trame su quello che non è successo e quello che dovrebbe succedere. La cosa interessante e paradossale è che mentre gli altri vizi spingono l’anima all’appagamento, la tristezza si nutre del dispiacere e gode nell’infelicità*. Giovanni Cassiano, monaco della Scizia, scrive:

A volte la tristezza è conseguenza dell’ira che l’ha preceduta, oppure è generata da un desiderio frustrato o da qualche guadagno mancato, quando cioè uno si vede svanire la speranza che nutriva per questa o quella cosa.”

I padri identificavano questo atteggiamento con la filautia, ovvero l’amore smodato per se stessi, il vivere in modo auto-centrato. Si fa fatica a guardare l’altro con amore, con serenità̀, e si insinuano nel cuore invidia e rancore.

Come combattere la tristezza?

Le due armi (si perché è una vera e propria battaglia) per vincere la tristezza sono la preghiera e la speranza.

San Paolo scriveva nella lettera ai romani:

Dunque, se è vero che la speranza passa dal rapporto col Padre e porta come frutto la gioia, è vero più che mai che noi TUTTI siamo chiamati a vivere il rapporto col Padre attraverso fratelli. Si delinea allora un circolo in cui è dalla relazione con l’altro, vissuta nella pienezza del vangelo che scaturiscono speranza e gioia piena:

Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di questo: dare la propria vita per i suoi amici”. (Gv15,9-17)

*chiaramente qui non si fa riferimento a forme patologiche di depressione, per cui l’aiuto di un medico è essenziale ma a quella tristezza che caratterizza un po’ tutti noi nella nostra quotidianità.

https://www.salesalato.it/spiritualita/tristezza-lottavo-vizio-capitale/ https://cristomaestro.it/padri-del-deserto.html
Rosini F. L’arte della buona battaglia. La libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico; Milano 2023