«Ti benedico, o Padre…»
È in questo preciso punto del vangelo di Matteo che Gesù pronuncia una intensa preghiera di lode al Padre: «in quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). E si conclude così: «sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Mt 11,26).
Alcuni autori hanno notato, la novità dell’“identità profetica” di Gesù: non si rivolge ai migliori, i «sapienti», e i «dotti», coloro che sono attrezzati per ogni cosa, ma si è rivolto ai «piccoli», coloro che sono comunque svantaggiati: un tema ricorrente nel Benedictus e nel Magnificat (cf. Lc 1,48. 68).
I «piccoli» dipendono sempre da altri: ad esempio, i bambini, come metafora del nuovo essere dei credenti in Gesù. Anche Gesù – scrive François Bovon – è uno di questi bambini: «non porta forse il titolo di “figlio”? Senza essere “figlio” (con la minuscola), non sarebbe “Figlio” (con la maiuscola»).
Quindi la sua parola di Gesù diventa un invito rivolto a coloro che accolgono la sua parola: «venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,28-30).
Nel racconto parallelo del Vangelo di Luca questa lode è inserita non appena sono rientrati i settantadue discepoli del nuovo invio missionario (Lc 10,1-72), che segue all’invio dei dodici (Lc 9,1-10): «in quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli».
Anche questa versione della preghiera si conclude con un’affermazione solenne: «Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Lc 10,21).
Anche Matteo ha dedicato questo logion ai discepoli, ma lo troviamo poco più avanti, nel discorso che contiene le parabole: «beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e (molti) giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!» (Mt 13,16-17). Da notare la mutazione da «profeti e re» (Lc) a «profeti e giusti» (Mt).
Anche nel parallelo di Marco del discorso che contiene le parabole (Mc 4,1-34), della triplice tradizione – da Marco, a Matteo e Luca – l’espressione denota la differenza fra l’insegnamento pubblico di Gesù e quello rivolto ai discepoli: «senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4,34).
La domanda da farci è la seguente: se anche Matteo non lo dice espressamente, i destinatari, o i primi ascoltatori di queste parole, sono proprio i discepoli. Sia Matteo che il parallelo di Luca nella preghiera di lode, introdotta con un verbo molto solenne, esplicitano la duplice azione divina che nasconde la sua azione a coloro che pensano di poter sussistere a prescindere da Dio e dagli altri: appunto i sapienti e gli intelligenti – magnificamente interpretati al tempo da scribi e farisei– (e oggi?), mentre Dio si rivela ai piccoli, quelli che dipendono in tutto e per tutto dagli altri.
A ben pensare, e in conclusione, un singolare percorso dietro la formazione, a partire dalla tradizione orale, di quello che sono diventati nel tempo i nostri evangeli Sinottici.