di Leonardo Salutati · Nei giorni 21-22 marzo si è svolto a Roma un convegno in occasione dei 150 anni dalla proclamazione a Dottore della Chiesa (23 marzo 1871) di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) che, nella sua lunga attività, ha elaborato una proposta di vita cristiana in cui i suoi scritti di morale, spiritualità, dogmatica, pastorale, si fondono in una visione originale e unitaria.
In particolare, il suo insegnamento morale appare come una pedagogia della vita cristiana volta alla «pratica della carità», proponendosi come la scienza e l’arte di condurre l’anima all’amicizia perfetta con Cristo, mediante la conformità alla volontà di Dio, grazie al «gran mezzo della preghiera» (L. Colin, 1971).
La proposta alfonsiana rivolta al ceto popolare del suo tempo, ma non solo, attinge all’originalità stessa dell’annuncio cristiano, presentato con totale fedeltà al Vangelo e radicato nella riflessione patristica e negli scritti ed esperienze di autori e santi tra i quali spiccano S.Teresa d’Avila e S.Francesco di Sales.
Tuttavia, raccogliendo gli aspetti tradizionali della spiritualità cristiana, S.Alfonso li rielabora e li ripresenta con un’arte che non si trova in nessun altro autore, caratterizzando la sua opera di un’originalità incontestabile. Infatti, non è tanto la creazione o la sintesi nuova di idee a distinguere la riflessione di sant’Alfonso, quanto piuttosto il fatto che, delle verità che prende in esame, egli ha saputo discernere e scegliere il lato efficace e utile per la salvezza (G. Velocci, 1994). A questo proposito l’espressione che S.Alfonso coniò come motto per la sua Congregazione, esprime sia il carisma dei Redentoristi sia la peculiarità con cui il egli stesso visse e interpretò il cristianesimo: Copiosa apud Eum Redemptio – La salvezza di Cristo è abbondante (M. Vidal, 1998).
I temi che egli maggiormente sviluppa riguardano l’universalità della salvezza, la dinamica dell’amore, la centralità della persona di Gesù per cui la vita del cristiano non è altro che la «pratica di amare Gesù Cristo», la conformità in Cristo alla volontà salvifica e misericordiosa di Dio, l’amore speciale a Maria, l’importanza e il valore del «gran mezzo della preghiera», la realistica visione della vita terrena e della vita eterna (V. Ricci, 1990).
Il nucleo centrale della spiritualità alfonsiana è rintracciabile nel mettere in pratica due cose: il distacco dalle creature e l’unione con Dio che si compendia nell’invito del Signore Gesù rivolto a coloro che vogliono seguirlo a “rinnegare se stessi e a prendere la propria croce ogni giorno”. La formulazione alfonsiana, con grande limpidezza e precisione, coglie il duplice dinamismo di qualsiasi progetto pedagogico-educativo nella tensione tra “negazione” e “affermazione”, il cui esito S.Alfonso verificherà essere sempre positivo grazie alla possibilità che il suo vasto ministero gli offrì, di essere a contatto di molte anime che gli consentirono di rendersi conto direttamente e dal vivo, dei modi con cui il Signore agisce in coloro che si dispongono ad accogliere il suo invito (C. Keusch, 1931).
I tempi di S.Alfonso erano travagliati, complessi e difficili. In una lettera del maggio 1772 il Santo annotava: «Mio Dio, dove siamo noi?·S’insegna ai giovani che bisogna seguire Giansenio e Quesnel… Fino a tal punto si smarriscono i dotti del nostro secolo di luce [l’illuminismo n.d.a.]. Secolo di luce, e frattanto le anime vanno in rovina! Napoli è perduta: non vi si confessa, non vi si ascoltano più prediche, e per giunta tutti i laici pretendono ragionare di teologia e di morale e criticano tutto: Sacra Scrittura, dommi e precetti».
A questo si aggiungeva, da un lato la cattiva testimonianza di alcuni che si abbandonavano agli istinti disordinati con la scusa di seguire la via dell’amore, dall’altro le esagerazioni di una visione cristiana rigorista che si riproponeva nella letteratura ascetica. Inoltre, erano messe in disparte la meditazione sulla vita interiore di Dio e la ricerca sul ruolo e i frutti dello Spirito Santo nella vita cristiana, in altri tempi di tutt’altra rilevanza. S.Alfonso, benché figlio del suo tempo, si preoccupò invece di riproporre la centralità di queste dimensioni della teologia, consapevole della loro efficacia per la santificazione delle anime (A. Portaluppi, 1932). Il Santo, con tutta chiarezza, farà riaffiorare nel suo insegnamento il volto benigno e misericordioso del Cristo Redentore e proporrà la via della “benignità” a coloro che avevano la responsabilità dell’annuncio evangelico, riassumendo la sua visione nel prezioso suggerimento offerto ai confessori, testimoni e custodi dei cammini più profondi delle coscienze davanti al loro destino ultimo: «Lì dove si tratta di allontanare il penitente dal pericolo del peccato formale, generalmente parlando e in quanto lo suggerisce la prudenza cristiana il confessore deve far uso delle opinioni benigne» (B. Forte, 2007).
Se consideriamo che i tempi di S.Alfonso erano difficili e complessi altrettanto quanto lo sono i nostri, la proposta alfonsiana oltre che originale è quanto mai attuale nel suo riproporre il volto misericordioso del Redentore assieme all’invito, ribadito costantemente anche da tutti i pontefici nel Magistero sociale della Chiesa, a cominciare da Leone XII fino a Papa Francesco, a: «riconoscere il bisogno di un cambiamento nei cuori umani, nelle abitudini e negli stili di vita» (Fratelli tutti n. 166). Infatti, «la fragilità umana, la tendenza umana costante all’egoismo, che … la tradizione cristiana chiama “concupiscenza” … non è un difetto della nostra epoca. Esiste da che l’uomo è uomo e semplicemente si trasforma, acquisisce diverse modalità nel corso dei secoli, utilizzando gli strumenti che il momento storico mette a sua disposizione. Però è possibile dominarla con l’aiuto di Dio» (ibidem).