Quando un valico diventa un ponte e non un muro: l’Armenia in aiuto della Turchia.

320 320 Stefano Liccioli
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di Stefano Liccioli · Le immagini del tragico terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria causando, in un bilancio ancora provvisorio, più di cinquantamila vittime sono rimbalzate nei media di tutto il mondo con un forte impatto emotivo su tutti coloro che l’hanno viste o almeno su tutti coloro che non possono rimanere indifferenti di fronte ad una sciagura di queste dimensioni. Le ombre di eventi così drammatici rischiano però di oscurare alcune luci che l’umanità è in grado di accendere anche in queste circostanze così luttuose. Mi sto riferendo alla notizia dell’Armenia che ha inviato cinque tir con cento tonnellate di cibo, medicine, acqua e aiuti umanitari destinati alle popolazioni turche abitanti le zone più colpite dal terremoto.

Qualora non fosse evidente mi preme sottolineare l’alto valore di questo aiuto dato dagli Armeni ai vicini Turchi considerando i trascorsi tra questi due popoli. Mi sto riferendo all’eliminazione sistematica decisa nel febbraio del 1915 dal governo turco nei confronti di tutti quegli Armeni che abitavano, come minoranza cristiana, il territorio dell’allora impero turco ottomano. Coloro che sopravvissero alla prima ondata di massacri condotti dai Turchi nella zona di Zeidoun, Van ed Istanbul, nel mese di maggio del 1915 vennero deportati verso alcune zone periferiche dell’impero, nel deserto della Mesopotamia e dell’attuale Siria, uccisi dalla fame, dal tifo e dal colera, in quelle che erano delle vere e proprie marce della morte. Questa scia di sangue si protrasse almeno fino a tutto il 1916 causando, secondo una stima seria, oltre un milione di morti, almeno cioè la metà degli Armeni presenti nel 1914 nell’Impero ottomano.

Il primo governo turco del dopoguerra indicò in 300.000 gli Armeni morti precisando, però, che le cause di questi decessi furono l’insicurezza e le privazioni, condivise del resto con tutti i cittadini durante la Grande Guerra. Ancora oggi la Turchia tende a ridimensionare la stima dei morti armeni e rifiuta categoricamente di aver perpetrato un genocidio, cosa che invece denunciò in maniera molto chiara anche Papa Francesco durante il suo viaggio Apostolico in Armenia nel giugno del 2016:«Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia in questo come negli altri due – le grandi potenze guardavano da un’altra parte. […] Rendo onore al popolo armeno, che, illuminato dalla luce del Vangelo, anche nei momenti più tragici della sua storia, ha sempre trovato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità».

Quando ai miei studenti ed alle mie studentesse spiego il genocidio degli Armeni li faccio presente che le informazioni che abbiamo su questa pagina drammatica del Novecento le dobbiamo ad alcuni testimoni che non sono rimasti indifferenti di fronte a quello che vedevano ed hanno avuto il coraggio di raccontarlo. Tra questi mi piace citare Armin Theophil Wegner, un militare paramedico tedesco che durante la Prima guerra mondiale era stanziato nell’Impero ottomano. Egli, quando vide le uccisioni e le violenze perpetrate ai danni del popolo Armeno, non esitò a smarcarsi dall’ “alleato turco”, schierandosi dalla parte dei più deboli e fotografando quello che vedeva. I suoi scatti ancora oggi documentano la tragica realtà del genocidio degli Armeni. Scrisse Wegner: «Mi hanno raccontato che Gemal Pascià ha proibito, pena la morte, di scattare fotografie nei campi profughi. Io conservo le immagini di terrore e di accusa legate sotto la mia cintura. So di commettere in questo modo un atto di alto tradimento, e tuttavia la consapevolezza di aver contribuito per una piccola parte ad aiutare questi poveretti mi riempie di gioia più di qualsiasi cosa abbia fatto».

Ma torniamo all’oggi. Questo passato di morte non ha impedito agli Armeni di provare compassione di fronte a tutti i morti turchi causati dal terremoto. È così che quel confine tra Armenia e Turchia, il valico del comune di Margara che da trenta anni nessuno attraversava, ha smesso di essere un muro per diventare un ponte capace di portare aiuti alle popolazioni sofferenti e di testimoniare quell’amore capace di vincere l’odio ed il rancore.

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Stefano Liccioli

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