Pellegrinaggio, dialogo e desiderio: per un efficace dinamismo ecumenico
di Alessandro Clemenzia · Il 14 febbraio scorso si è celebrata la festa liturgica di due grandi fratelli santi, denominati “apostoli degli slavi”, Cirillo e Metodio, in un contesto storico, quale quello odierno, molto particolare: come ha sottolineato il prof. Andrea Drigani nell’ultimo numero del Mantello della giustizia, tale ricorrenza ha acquisito un particolare significato proprio in quanto è caduta dentro un drammatico conflitto tra due popoli slavi e cristiani, quello ucraino e quello russo. Una guerra che, purtroppo, tra le tante conseguenze, non è di aiuto neanche per il cammino ecumenico.
Partendo proprio dall’attualità che stiamo vivendo, si rende necessario trovare un punto di partenza per avviare un processo più intenso verso il raggiungimento di quell’unità che Gesù stesso ha voluto, soprattutto tra le diverse Chiese e comunità cristiane. Papa Francesco, il 23 febbraio scorso, ha consegnato il suo discorso di saluto alla delegazione di monaci delle Chiese ortodosse orientali, nel quale si può intravedere una riflessione interessante. Senza fare alcun esplicito riferimento alla guerra tra Russia e Ucraina, egli ha ripreso l’immagine evangelica del cammino dei due discepoli diretti a Emmaus, che in un certo senso può simboleggiare il percorso ecumenico dei cristiani rivolti verso il raggiungimento della piena comunione. A partire da questo brano della Scrittura, il Papa ha presentato tre possibili elementi comuni tra i due tragitti sopramenzionati: il pellegrinaggio, il dialogo e il desiderio.
Il primo elemento, il pellegrinaggio, si distingue da ogni altro tipo di viaggio per un elemento fondamentale: si tratta di un camminare insieme dei due discepoli in compagnia di un terzo: Cristo. «Allora – spiega il Papa – il tragitto diventa un pellegrinaggio». Gli occhi dei viandanti, a causa della loro tristezza, non erano stati capaci di riconoscerlo, così come «similmente lo scoraggiamento e l’autoreferenzialità impediscono ai cristiani di Confessioni diverse di vedere ciò che li unisce, di riconoscere Colui che li unisce». Non è, dunque, la fragilità dei discepoli a impedire a Cristo di avvicinarsi, di conversare e di farsi loro compagno lungo il tragitto, ma sono gli occhi distratti da altro a non permettere ai due di riconoscere la presenza del Figlio di Dio in mezzo a loro.
Il secondo elemento sottolineato è il dialogo, a partire da quanto viene vissuto dai due discepoli, i quali discutevano su ciò che era accaduto. Un dialogo tra loro capace, piano piano, di aprirsi al terzo, con colui che sa far ardere il loro cuore: «dialogo della carità, dialogo della verità, dialogo della vita, per riprendere le tre tipologie indicate dal Vademecum ecumenico del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani». È interessante notare come la riflessione teologica degli ultimi decenni stia insistendo molto sull’occasione offerta da un dia-logo che sia veramente autentico: esso può divenire il luogo della presenza stessa di Cristo (-logos), tra (dia-) i due o più riuniti nel suo amore.
Rivolgendosi alla delegazione, il Papa ha concluso che se queste tre dimensioni vengono realmente vissute, «allora, come quei discepoli, giungeremo a riconoscere insieme Cristo allo spezzare del Pane e beneficeremo della comunione con lui alla stessa mensa eucaristica (cfr vv. 30-31). E, come i due di Emmaus tornarono di corsa a Gerusalemme per raccontare con gioia e stupore quanto avevano sperimentato, così anche noi potremo testimoniare in modo credibile il Crocifisso Risorto, “perché il mondo creda” (Gv 17,21)».