di Stefano Liccioli · Nel numero scorso de’ “Il Mantello della Giustizia” mi sono soffermato su quelli che considero due (falsi) miti della società contemporanea e cioè quello dell’autosufficienza e dell’invulnerabilità con le loro necessarie conseguenze: l’individualismo e l’indifferenza. In questa occasione vorrei approfondire un altro atteggiamento degli uomini e delle donne del nostro tempo che mi appaiono sempre meno attenti al prossimo nel senso di essere capaci di coltivare una cura disinteressata nei confronti di coloro che li circondano. L’attenzione di cui parlo non ha niente a che fare con i processi cognitivi, ma è piuttosto una “postura” del cuore e della mente da assumere ed esercitare nel quotidiano. È ciò che San Paolo definiva con la parola greca “chrestotes” (Gal 5,22) che esprime uno stato d’animo non aspro o scontroso, ma benigno, che sostiene e conforta. Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” ha approfondito questo concetto affermando:«La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. Comprende il «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano», invece di «parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (FT 223).
Il Santo Padre non si riferisce alla gentilezza in termini di galateo o buone maniere, ma come una declinazione concreta della Carità. In un contesto come quello odierno sempre più frenetico, dove si corre continuamente perché il tempo è prezioso e non si può perderlo, è difficile trovare persone capaci di mettere da parte le loro preoccupazioni e le loro urgenze «per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti» (FT 224). D’altra parte il tempo è davvero prezioso, è l’unica cosa che, una volta donato o impiegato in qualcosa, non può essere recuperato. È per questo che il “non avere tempo” è l’alibi più frequente e più inattaccabile quando non si vuol fare qualcosa; è per questo che si è cosi gelosi del proprio tempo e si è così restii a darlo agli altri.
Anche gli auguri di Natale che un tempo si facevano di persona o telefonando o scrivendo dei biglietti, ora si fanno attraverso file digitali “inoltrati molte volte” con Whatsapp: fanno risparmiare tempo e poca importa se sono fatti in serie e per questo spersonalizzati. «Il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia. Tuttavia, “il mondo di oggi è in maggioranza un mondo sordo […]. A volte la velocità del mondo moderno, la frenesia ci impedisce di ascoltare bene quello che dice l’altra persona. E quando è a metà del suo discorso, già la interrompiamo e vogliamo risponderle mentre ancora non ha finito di parlare. Non bisogna perdere la capacità di ascolto”» (FT 48). Del resto già San Tommaso d’Aquino definiva la carità come un movimento che pone l’attenzione sull’altro «considerandolo come un’unica cosa con sé stesso».
In termini più prettamente spirituali mi viene in mente quella preghiera di Mons. Tonino Bello che recita così:«Ti imploriamo, Signore, donaci occhi nuovi, che non scorrano indifferenti sui problemi della gente. Quelli che abbiamo sono troppo antichi! Resi strabici dall’egoismo. Fatti miopi dal tornaconto. Occhi nuovi, donaci Signore, e uno sguardo di tenerezza».
Significativa, in conclusione, l’osservazione di Papa Francesco su quale sia il luogo privilegiato dove si apprendono la gentilezza e la solidarietà:«Il mio primo pensiero va alle famiglie, chiamate a una missione educativa primaria e imprescindibile. Esse costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro» [FT 114].