di Antonio Lovascio · Non sappiamo se i governanti mondiali, e in particolare quelli europei, abbiano letto attentamente il Messaggio di Papa Francesco in vista della Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato che sarà celebrata domenica 24 settembre. Avrebbero dovuto farlo prima di mettere in atto le loro balbettanti iniziative diplomatiche per trovare una soluzione alle politiche migratorie che ormai non rappresentano più un’emergenza, bensì una serie consolidata di tragedie. La finanziarizzazione si è purtroppo fin qui rivelata una strategia miope, incompleta e inadeguata. Dopo la Turchia e la Libia, la firma da parte della Ue del memorandum di Tunisi – sospinta con piena convinzione dalla nostra premier Giorgia Meloni – dimostra purtroppo che il modello che prevede cospicui assegni in cambio del blocco delle partenze in chiave esclusivamente securitaria è uno standard. Che non prevede, però, garanzie di rispetto dei diritti umani dei migranti in transito e senza che i patti vengano rispettati. Non si riflette come si dovrebbe sul fatto che l’Unione Europea ha ora firmato un accordo con Tunisi perché in Libia e in parte in Turchia gli accordi di stop dei migranti in cambio di soldi non hanno funzionato. Altrimenti questo non sarebbe l’anno record degli arrivi in Italia dal 2017 e non avremmo assistito in meno di sei mesi a due tragici naufragi (anche se già dimenticati) come quelli di Cutro e di Pylos.
Abbiamo compreso perché il presidente tunisino Saied (che certo non rispetta i diritti umani: da mesi gli stranieri subsahariani vengono cercati da ronde di poliziotti e cittadini casa per casa a Sfax e in altre città) sia diventato ormai un partner strategico per Roma e Bruxelles. Lo è anche per ragioni geopolitiche, per l’approvvigionamento di energie alternative, il turismo e gli scambi economici e culturali. Inoltre non va dimenticato che in Tunisia hanno sede 900 aziende italiane e ci sono legami storici importanti. Ma tutto ciò non può avvenire sulla pelle di migranti disperati. Per questo realisticamente ci chiediamo se chi governa il Paese magrebino possa fare concretamente qualcosa in più per contrastare i trafficanti e salvare vite umane, se gli si raddoppiano i finanziamenti (ha già ricevuto 55 milioni di euro dall’Ue dal 2017 al 2020 ) per fermare i flussi dall’Africa.
Allora ritorniamo al Messaggio di Papa Francesco. Che richiama la “campagna” lanciata nel 2017 dalla CEI e che segnò l’avvio di decine di progetti con il coinvolgimento di 131 Paesi. “Liberi di partire, liberi di restare”, lo slogan dell’iniziativa della Chiesa italiana, dove la vera novità era rappresentata dal secondo verbo, cioè dalla necessità di creare le condizioni perché chi oggi è costretto ad abbandonarla possa decidere di rimanere nella sua terra. “Persecuzioni, guerre, fenomeni atmosferici e miseria sono – osserva il Papa – tra le cause più visibili delle migrazioni forzate contemporanee”. I migranti», cioè, «scappano per povertà, per paura, per disperazione».
Di qui la necessità di un impegno che chiama tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità, a trasformare la decisione di andarsene da necessità a volontà libera. Per arrivarci, il primo passo è «chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare». In particolare – continua il Pontefice – occorre «prodigarsi per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune». Significa che «per fare della migrazione una scelta davvero libera, bisogna sforzarsi di garantire a tutti un’equa partecipazione al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso allo sviluppo umano integrale». In questo senso «il compito principale spetta ai Paesi di origine e ai loro governanti, chiamati ad esercitare la buona politica, trasparente, onesta, lungimirante e al servizio di tutti, specialmente dei più vulnerabili. Essi però devono essere messi in condizione di fare questo, senza trovarsi depredati delle proprie risorse naturali e umane e senza ingerenze esterne tese a favorire gli interessi di pochi». Al tempo stesso «lì dove le circostanze permettano di scegliere se migrare o restare, si dovrà comunque garantire che tale scelta sia informata e ponderata, onde evitare che tanti uomini, donne e bambini cadano vittime di rischiose illusioni o di trafficanti senza scrupoli».
Per fare questo – sposiamo totalmente, sintetizzandola, la tesi di un sociologo illuminato come Mauro Magatti, editorialista del “Corriere della Sera” e di “Avvenire” – va sgombero il campo da un equivoco. Il problema non sono le risorse. Il mondo non è mai stato così ricco. Non abbiamo mai avuto tanta ricchezza economica, tecnologica, culturale, finanziaria. A livello planetario, il Pil è raddoppiato tra il 1990 e il 2009 e poi di nuovo dal 2010 al 2022. Nell’ultimo decennio la ricchezza finanziaria è passata da 5 a 7 volte quella reale. Il problema è che questa enorme massa di risorse resta in larga parte impegnata ad aumentare il benessere e il consumo individuale. In particolare, di quella quota rilevante ma limitata di persone (alcune centinaia di milioni) che vedono continuamente crescere la loro ricchezza. A discapito di tutti gli altri. Ciò che manca è la volontà di impiegare una quota significativa di queste risorse per mettere mano alle cause del fenomeno migratorio. Cioè, per cominciare a riequilibrare il pianeta. L’unica via (stretta) è quella di una azione politica lungimirante che, pur sapendo di non poter risolvere il problema e di dover gestire continue emergenze, non rinuncia a capire – e far capire – che investire risorse massive in programmi di educazione e sviluppo dei territori in difficoltà (specie in Africa) è la via di un percorso evolutivo che, nell’ aiutare i Paesi di partenza, costituisce anche il presupposto della sicurezza e della crescita. Loro e nostra. Si dirà che è una strada difficile e costosa. Vero. Ma, realisticamente, ci sono alternative?