L’Antimafia nel segno del Vangelo al fianco dello Stato

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di Antonio Lovascio · Con la cattura di Matteo Messina Denaro è stata vinta una battaglia trentennale, o chiusa una ferita aperta da troppo tempo, ma c’è ancora tanto da fare per sconfiggere la mafia, spezzare l’omertà che la circonda e la protegge. In Sicilia e in altre parti d’Italia, dove assume diverse denominazioni: camorra, ‘ndrangheta e Sacra corona unita . Più che omertà – che rivela la piccolezza maleodorante dell’autoreferenzialità – almeno per la maggioranza forse è rassegnazione, che impedisce un pensiero altro e scoraggia sogni di riscatto. “Chi sa parli, perché potrebbe svelare fatti che possono giovare a tante indagini”: non è stato casuale l’appello ai fiancheggiatori delle cosche del vescovo emerito della diocesi di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, che nel 2013 negò i funerali al boss trapanese Mariano Agate commentando: “Non ci vuole tanto coraggio, bisogna solo essere coerenti col proprio ministero”. In linea con l’insegnamento di Papa Francesco, che più volte durante il suo pontificato ha rilanciato la scomunica contro i mafiosi, definendoli “gli Erodi del nostro tempo”.

In queste settimane, mentre sono usciti nuovi particolari sulle complicità che hanno favorito la superlatitanza del Padrino successore di Totò Riina, non si è nascosto nemmeno il vescovo di Trapani, Pietro Maria Fragnelli. Pugliese, da dieci anni in Sicilia. Ha parlato di coscienza civile ancora «narcotizzata» e di zone grigie diffuse da superare. Ma ritiene l’arresto del boss Messina Denaro «una svolta». Guarda con speranza all’esempio dei giovani, «da sostenere e accompagnare». Ed è pronto, insieme a tutti i vescovi siciliani e alla Chiesa dell’isola a fare la propria parte, con un nuovo linguaggio evangelico e popolare, capace di far crescere generazioni nuove di credenti e di far arrivare il messaggio anche ai non credenti, generando quotidianamente spazi di bene nel corpo sociale, un umanesimo dal basso, che si apre al futuro nella sapienza vissuta tra e con i poveri. Facendo sì che l’esempio educativo di figure come don Pino Puglisi e il “giudice ragazzino” Rosario Livatino già proclamati beati, come Biagio Conte e tante altre vittime tra cui Falcone e Borsellino, diventi sempre più patrimonio di “anticorpi” a protezione della legalità. Figure che hanno ancora molto da insegnare, non solo alla Chiesa, con quella testimonianza propria del Vangelo che crea relazioni più forti di ogni legame d’ingiustizia e di cupidigia del denaro.

E proprio nel segno del Vangelo – la più antica forma di antimafia – gli ultimi tre Pontefici si sono pronunciati contro la criminalità organizzata, le mafie disseminate ormai in tutta la Penisola. Dall’anatema di Giovanni Paolo II ad Agrigento nella Valle dei Templi il 9 maggio del 1993 – a circa un anno dagli attentati a Falcone e Borsellino – fino a Francesco in Calabria il 21 giugno 2014 e in molti successivi interventi . Ma anche Benedetto XVI, nel suo viaggio a Palermo il 3 ottobre 2010, parlando ai giovani ed invitandoli a contrastare il male, si scagliò contro “le suggestioni della mafia, che è una strada di morte”. “Insieme – aggiunse – sarete come una foresta che cresce, forse silenziosa, ma capace di dare frutto, di portare vita e di rinnovare in modo profondo la vostra terra”.

La criminalità organizzata, negli anni, è arrivata addirittura ad impossessarsi di simboli o figure religiose, con rituali e forme di devozione che hanno storpiato e strumentalizzato la religiose stessa. Per la crudeltà con cui sono stati compiuti crimini nei confronti di tanti innocenti (ricordate il piccolo Giuseppe Di Matteo ?) e la vita votata al male, i mafiosi “non sono in comunione con Dio”, come ha affermato Papa Francesco nella sua omelia nella Piana di Sibari, quando appunto annunciò – fu il primo papa a farlo – la sua scomunica ai mafiosi che “nella loro vita seguono questa strada di male”.

Anche oggi la Chiesa insieme alla Scuola ed alle famiglie si propone come Comunità educante in un mondo che cambia. Ma tocca allo Stato ed alle sue Istituzioni combattere con fermezza alle radici, con tutti i mezzi possibili e l’uso di sofisticate tecnologie, i sodalizi malavitosi più strutturati. A partire dai reati di corruzione, indissolubilmente legati a quelli di mafia, perché la delinquenza organizzata ( ce lo dimostra il tesoro accumulato con l’aiuto della massoneria e della politica da Mattia Messina Denaro: pari ad oltre 4 miliardi di euro in una provincia, quella di Trapani, dove la media dei redditi pro capite è tra le più basse d’Itali) è ormai diventata un operatore economico globale. Con una vocazione imprenditoriale, specializzata nella fornitura di beni e servizi non solo illegali, che ricorre alla corruttela anche per procacciarsi informazioni riservate, documenti falsi, pilotare i procedimenti di evidenza pubblica, riciclare i propri proventi. E’ indispensabile farlo ora che si sono risvegliati gli appetiti per i 248 miliardi di euro messi a disposizione dall’Europa per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Molti boss stanno già pregustando, senza alcun pudore, di spartirsi la torta degli appalti.

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Antonio Lovascio

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