Il Papa e il film «Io capitano»
di Carlo Parenti · Giorni fa ho visto un film potente, durissimo. Ho molto sofferto meditando le scene che vedevo. Ma era una ricostruzione verissima della realtà: migrazioni dall’Africa attraverso il deserto del Sahara, prigioni dei trafficanti libici, torture, traversate drammatiche del mediterraneo.
Non racconto tutti dettagli di quel che ho visto coi miei occhi già dal 1992 nel deserto del Niger e ad Agadez e negli anni successivi in Libia ai confini col con lo stesso Niger e anche con il Chad. Luoghi in cui anche con potenti fuoristrada di guide nigerine e libiche si percorrevano centinaia di chilometri nel nulla e capitava spesso di perdersi. Immaginate a piedi con un litro d’acqua…centinaia, migliaia di morti sepolti dalla sabbia.
Sempre in Libia ho visto e parlato con guide locali a Zuara, dove è sempre stato l’imbarcadero per Lampedusa che si trova esattamente a nord. Con una bussola basta sempre andare dritti e si arriva. Non ci sono trafficanti tra gli scafisti che sono spesso migranti che ottengono sconti sul prezzo del viaggio. Ho visto barche in costruzione e in riparazione. Ho avuto conferma che “i negri d’Africa” (così i libici chiamano le persone) venivano tenuti prigionieri per almeno un anno come schiavi per pagarsi il viaggio. Questo quando andava bene. Peggio se tenuti in veri e propri lager e torturati fino anche alla morte se non accettavano il ricatto di telefonare alle loro famiglie per farsi dare denaro. Trafficanti farabutti, estorsori, torturatori e assassini. Sono anche diventati i membri della guardia costiera libica. Poi con la caduta di Gheddafi tutto è assai peggiorato e tutti i nostri rappresentanti locali e i politici italiani di ogni colore sapevano e sanno tutto. Non parlo poi di chi parte dall’Etiopia, dall’Eritrea, dal corno d’Africa, ecc. Non parlo di cose simili che ho visto in sud America. Anche viaggi a piedi di migliaia di chilometri per tentare l’ingresso in USA.
Fratelli Tutti!!!???
Nel pomeriggio del 14 settembre, a Casa Santa Marta, Papa Francesco ha ricevuto il regista Matteo Garrone, accompagnato da alcuni membri del cast. È stata fatta una proiezione speciale della pellicola, organizzata dal Dicastero per la Comunicazione, nella sala della Filmoteca Vaticana, alla presenza del regista, di alcuni dei protagonisti e di Mamadou Kouassi, dalla cui esperienza diretta è stata tratta la trama del film. “Ciò che colpisce del film” -ha detto padre Antonio Spadaro, presente all’incontro- “è il fatto che tratta di un argomento drammatico con i toni di epico e fiabesco insieme. Ha come sottotesto l’Odissea e Pinocchio”
In un’intervista a Il Fatto Quotidiano, Garrone ha commentato il dramma che continua dei migranti:
“Cerco di dare a questi personaggi una identità: da anni ormai siamo abituati a considerarli soltanto numeri. Voglio cambiare prospettiva, che ci sono i morti lo dico, lo racconto nel film: è un viaggio di morte, un’ingiustizia profonda. Ma per quale motivo mi debbo sorprendere di una barca che affonda? Se sappiamo che milioni di persone sognano di venire qui, che i giovani che partono rischiano la vita: perché uno dovrebbe pensare che le cose cambieranno?”
Secondo Garrone, “Io Capitano arriva dritto al cuore della gente: forse è il mio film più popolare. Sono in tour da giorni, e il pubblico che incontro è trasversale, di tutte le età. Gli spettatori entrano in empatia con Seydou e vivono il suo viaggio in soggettiva: soffrendo, sentendo i momenti catartici. […] Ci sono tanti pregiudizi – legittimi, anche io ne avrei – perché l’immigrazione è un argomento scivoloso, può essere trattato in maniera strumentale, retorica e pedissequa. Poi, c’è un regista italiano, che potrebbe speculare sul povero migrante dal punto di vista del borghese, benestante: insomma, mille trappole”.
Per concludere riporto le parole attualissime del compianto Mons Gastone Simoni, già vescovo di Prato, pubblicate venerdì 25 gennaio 2019 sul “Corriere Fiorentino”.
«Gent.mo Direttore, anche a costo di essere, forse, una voce fuori dal coro, ritengo un peccato grave lasciar morire in mare non dico centinaia ma neppure uno solo degli africani o di altri poveri Cristi che bramano approdare alle coste italiane ed europee, anche se questa scelta (lasciarli morire) viene compiuta per una dichiarata coerenza con la scelta politica di bloccare gli odiosi trafficanti libici o di altra genia.
Tra le due scelte deve vincere la prima, salvare cioè le persone in grave pericolo di morte. Questa coerenza politica muscolare è, in verità, una crudele e rozza non-virtù. Rimando in materia al Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2268 e, in particolare, 2269. Il primo condanna l’omicidio diretto e volontario, il secondo anche quello indiretto. Questo secondo numero, nel primo capoverso, recita: “… la legge morale vieta tanto di esporre qualcuno a un rischio mortale senza grave motivo (il che, nel caso, vale per i trafficanti), quanto rifiutare l’assistenza a una persona in pericolo (il che vale, nel caso, per i Governi d’Europa e d’Italia o per le Istituzioni analoghe)”. Altro che una sola persona in pericolo nel mare che si agita tra la Libia e l’Italia! Il secondo capoverso recita: “Tollerare da parte della società umana, condizioni di miseria che portano alla morte senza che ci si sforzi di porvi rimedio, è una scandalosa ingiustizia e una colpa grave…”. Altro che condizioni di miseria sulle onde fredde e tempestose del “mare nostrum”!
E che cos’è una politica senza morale se non una barbarie inumana? Spero che nessuno venga a sventolarmi sul volto, per contestare questa citazione del Catechismo, le pagine del Vangelo o il Rosario della Madonna. Dedico questo scritto alla memoria del nostro primo obiettore di coscienza, il caro amico prof Fabrizio Fabbrini, morto ieri. Con lui nei mesi scorsi abbiamo parlato molte volte per un nuovo impegno politico laicale di ispirazione cristiana».