di Andrea Drigani · Il 26 dicembre la Chiesa celebra Santo Stefano Protomartire.
Santo Stefano è il primo discepolo di Gesù Cristo a confermare nel sangue la sua fede in Colui che ha redento il mondo con il suo sangue.
Sant’Agostino notava che mentre per gli altri martiri soltanto con molta fatica si poteva trovare gli Atti, per leggerli in occasione delle loro solennità, la Passione di Santo Stefano si trova in un libro canonico facente parte delle Sacre Scritture.
Si tratta, com’è noto, del libro degli Atti degli Apostoli, redatto da San Luca, che segnatamente nel capitolo 6 e nel capitolo 7, riporta l’elezione diaconale di Stefano, la sua predicazione coraggiosa, chiara e profonda, la sua morte violenta attraverso la lapidazione e le sue ultime parole: «Signore, non imputare loro questo peccato».
Il culto di Santo Stefano ebbe il suo impulso e la sua diffusione in tutto l’orbe cattolico dopo che nel 415 furono trovate nei pressi di Gerusalemme, dal monaco Migezio e dal presbitero Luciano, le reliquie del Protomartire.
I particolari di questa scoperta, che commosse tutta la Chiesa e contro cui nessuno sollevò il minimo dubbio, furono ampiamente conosciuti per iniziativa di Avito di Braga, che tradusse in latino la narrazione che gli aveva fatto, nella lingua greca, il presbitero Luciano.
In Occidente alcune chiese, che si erano procurate le reliquie di Santo Stefano, divennero dei santuari che facevano accorrere molti fedeli, come nell’isola di Minorca, ad Uzalam, Calama e Ippona, la sede episcopale di Sant’Agostino, che divenne il grande sostenitore della devozione a Santo Stefano.
Sin dall’Alto Medioevo si reperiscono numerose immagini del Protomartire, che continuano ad essere realizzate nel corso dei secoli; mi piace ricordare il dipinto di Giotto nel Museo Horne a Firenze, e, sempre a Firenze, la statua bronzea di Lorenzo Ghiberti nel Museo di Orsanmichele.
La Chiesa nella Liturgia delle Ore, all’Ufficio delle Letture del 26 dicembre, ci fa leggere, nella seconda lettura, un brano tratto dai «Discorsi» di San Fulgenzio di Ruspe vescovo.
San Fulgenzio vissuto tra il 467 e il 533, vescovo di Ruspe (nell’odierna Tunisia), autore, tra l’altro, di diversi scritti, si qualifica per la sua fedeltà con cui espone, difende e diffonde la dottrina agostiniana.
San Fulgenzio, nel testo scelto dalla Liturgia delle Ore, esordisce osservando che ieri (25 dicembre) si è celebrato la nascita nel tempo del nostro Re eterno, oggi (in riferimento a Santo Stefano) si celebra la passione trionfale del soldato.
Il vescovo di Ruspe prosegue affermando che il nostro Re, l’Altissimo, venne per noi umilmente, ma non a mani vuote e ci portò il dono della carità, che conduce gli uomini alla comunione con Dio.
San Fulgenzio rileva come la carità che fece scendere Cristo dal cielo sulla terra, innalzò Stefano dalla terra al cielo.
Stefano- continua il vescovo di Ruspe – ebbe per armi la carità con la quale vinceva ovunque.
Per mezzo della carità non ebbe paura dei Giudei che infierivano contro di lui, confutò gli erranti perché si ravvedessero, pregò perché non fossero puniti i lapidatori.
Sempre con la carità – aggiunge San Fulgenzio – Stefano vinse Saulo che incrudeliva ed ebbe compagno in cielo colui che ebbe in terra come persecutore. La carità di Stefano ha superato la crudeltà dei Giudei, la carità di Paolo ha coperto la moltitudine dei peccati, per la carità entrambi hanno meritato di entrare nel regno dei cieli.
La carità – conclude il santo vescovo di Ruspe – è la sorgente e l’origine di tutti i beni, ottima difesa, via che conduce la cielo. Colui che cammina nella carità non può errare, né aver timore. Essa guida, essa protegge, essa fa arrivare al termine («Ipsa dirigit, ipsa protegit, ipsa perducit»).
Il Natale di Santo Stefano Protomartire ci aiuti a celebrare il Natale di Gesù.