di Francesco Romano • Con la caduta del mondo antico la Chiesa aveva recepito la lex romana come lex saeculi accanto alla lex spiritualis da cui ha origine l’utraque lex che nei secoli sarà il substrato su cui evolverà il diritto comune. Da questo connubio la legge ecclesiastica si indirizzava a tutto il modo cattolico e la legge romana ne conseguiva i caratteri di universalità.
L’unità religiosa spinse la Chiesa a conservare tutto ciò che restava della civiltà romana facendo argine a una realtà che non era né romana né cristiana.
L’unità politica stabilitasi tra Chiesa e Sacro Romano Impero impose la necessità di avere anche unità del diritto, l’unum ius dell’unum imperium, facendo riemergere il diritto romano come lex generalis omnium.
Con la conquista dell’Italia nel 553 da parte dei Bizantini e la sconfitta delle popolazioni gote, la legislazione giustinianea si estende nella pars Occidentis e nel 554 attraverso la Pragmatica sanctio anche in Italia. Ben presto, nel 568 con Alboino, l’invasione longobarda frantuma l’unità politica della Penisola spingendosi fino a Spoleto e Benevento. I Longobardi si stabiliscono a Pavia nella parte settentrionale, mentre quella meridionale rimane sotto l’influenza Bizantina.
La prima conseguenza della frantumazione dell’unità politica è anche la frantumazione dell’unità giuridica. Tuttavia il principio della personalità del diritto ha consentito che nei territori dei popoli vinti continuasse a rimanere in vigore la legge del popolo vinto. Per questo la tradizione giuridica romana sopravvive accanto a quella giuridica germanica portata dai Longobardi come era già accaduto per i territori che avevano conosciuto la presenza dei Visigoti e dei Burgundi.
Dallo scontro tra le due tradizioni giuridiche, romana e germanica, la religione cristiana raccoglie l’eredità di Roma fin dal basso impero, nel periodo compreso tra la pace costantiniana e l’Editto di Tessalonica del 380 con cui Teodosio I impone a tutti la fede cristiana e la Chiesa può fondare il suo prestigio sul braccio secolare sia per definire questioni di disciplina interna, spirituale e teologica sia per consolidare la crescente autorità giurisdizionale del pontefice romano.
L’impero romano, pur nella sua dissoluzione, offre ancora alla Chiesa l’ordine e la sicurezza e si oppone validamente alla spinta e alla violenza barbarica. I cristiani scelgono Roma come rifugio insegnando anche attraverso gli scritti dei Padri della Chiesa la necessità della sua sopravvivenza. La Chiesa si pone in difesa di una cultura e di un diritto in cui aveva potuto crescere e rafforzarsi.
Il Corpus iuris civilis giustinianeo, apparso nel 553 nella pars Occidentis, pochi anni dopo con la presenza dei Longobardi e la frantumazione dell’unità politica, si smembra nelle sue parti per poi riapparire sulla cattedra bolognese di Irnerio mutando ordine e aspetto nei vari Libri Legales ricomposti nel Medio Evo.
Gli ambienti che nel V secolo avevano posto le basi per la conservazione della civiltà latina come argine all’ondata barbarica furono deputate a trasmettere nelle terre italiane l’unità della cultura giuridica.
In Occidente, tra le rovine dell’Impero, appariva una unità ideale nata dalla Roma cristiana per salvare la civiltà romana in funzione di una educazione di ispirazione cristiana. Il popolo cristiano vincolato alla Chiesa di Roma ha fatto della romanità e della latinità la culla dei nuovi ideali religiosi.
Il Sacro Romano Impero ponendo in essere un impero sacro e romano congiunge le istanze politiche e spirituali che vanno affermandosi nelle coscienze. L’idea di sovranità imperiale riconducibile al prestigio di Roma appare come l’unico ordinamento politico che possa guidare in temporalibus la società, parallelamente alla missione che la Chiesa è chiamata a svolgere in spiritualibus.
La ricomposizione dell’Impero nelle mani di Carlo Magno, nato dalla frantumazione di quell’impero di cui oggi raccoglie l’eredità, vede da parte dei cristiani l’attuazione del superamento di un’epoca oscura. Si ricompone l’unità politica sostenendo l’unità spirituale per approdare al problema dell’unità giuridica.
Le profonde trasformazioni che si sono susseguite tra il VII e X secolo hanno trasformato l’aspetto politico e sociale delle regioni europee anche a scapito dello studio e della cultura. Tuttavia non ci troviamo di fronte a una frattura totale rispetto al passato. I monasteri e i conventi continuano l’opera di trascrizione dei codici e le scuole monastiche ed episcopali continuano a essere centro di formazione nelle arti del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia) e del “trivio” (grammatica, dialettica e retorica). Anche il diritto trova posto nell’insegnamento nelle arti del trivio: nell’etica come regola di comportamento, nella logica e nella retorica come arte del linguaggio.
La complessa compilazione di Giustiniano introdotta in Italia nel VI secolo subirà vicende diverse nelle sue varie parti a seconda del grado di comprensione di coloro che utilizzano i testi giuridici o della difficoltà da parte di coloro che li devono interpretare. Le Istituzioni giustinianee per la loro semplicità e chiarezza vengono utilizzate nell’alto Medio Evo nelle scuole di grammatica e retorica dove si insegnavano i primi rudimenti del diritto, nelle scuole dei pratici e nella pratica forense. Il Codice si smembra e gli ultimi tres libri si staccano dai primi nove che a loro volta si riducono a forma abbreviata nei testi epitomati. Nell’uso pratico vennero eliminate anche le Costituzioni in lingua greca. Le Novellae Contitutiones o semplicemente dette Novellae, furono conosciute e diffuse da una raccolta privata, l’Epitome Iuliani, e un’altra raccolta conosciuta con il nome di Authenticum utilizzata nelle lettere di S. Gregorio Magno e nell’Editto di Rotari. Il Digesto viene ancora citato nel 603 in una lettera di S. Gregorio Magno.
All’inizio dell’XI secolo nuovi aspetti animano la vita e l’organizzazione sociale mentre il sapere si apre a nuove esperienze. La città sostituisce il monastero come centro di irradiazione di cultura con una più compiuta esigenza di conoscenza e di studio. Il nuovo interesse per gli studi giuridici avverte l’esigenza di interpretare correttamente la realtà giuridica che si afferma nella prassi e di dare nomi più precisi. Nel rinnovato interesse per l’approccio con la fonte normativa viene privilegiata la lex romana. Riaffiora una cultura giuridica di impronta romana. Per primo tra i “legis doctores” o “legis docti” Pepo detto Pepone si inserisce in questo quadro e secondo la testimonianza di Odofredo comincia a legere in legibus autonomamente.
Sulla traccia di questa scelta culturale inaugurata da Pepone, che si presenta già come scientia, si inserisce Irnerio, impegnato a Bologna nell’insegnamento delle arti liberali. Avendo scoperto nell’ambito delle arti liberali i Libri legales, cioè i testi di Giustiniano, gli è possibile studiare le leggi su testi più articolati e diviene “magister” passando dall’insegnamento delle arti a quello delle leggi fino a guadagnarsi la fama di primus illuminator scientiae nostrae. Con Irnerio l’ars iuris si trasforma in scientia iuris, lui per primo glossa le norme romane e le “illumina” con la sua parola guadagnandosi il titolo di “Lucerna iuris” come lo definisce Odofredo.
Nel XII secolo le scuole di diritto sono alla ricerca di una interpretazione più autentica, ma la scuola bolognese fondata da Irnerio le supera per la ricomposizione del testo illuminato dalla glossa. I successivi maestri della tradizione irneriana sono detti glossatori come continuatori di questo metodo e ricerca. La rinascita degli studi del diritto è resa possibile con la graduale riscoperta del Digesto e la redazione completa delle Novellae secondo l’Authenticum.
Quando nel 1158 l’imperatore Federico Barbarossa concede ai maestri bolognesi e ai loro studenti i primi privilegi, la scuola di Bologna ha già raggiunto fama internazionale. I principi generali, le astrazioni e il metodo scientifico che la nuova scienza propone e che la nuova società sollecita si apre a tutta l’Europa. La comprensione degli antichi testi che si sono tramandati fortunosamente e poi ricomposti in modi impensabili, ha permesso di assimilare la forma più antica, ma ancora familiare, di quel linguaggio giuridico. La riemersione della lex romana ha significato la ricomposizione di quella tradizione che si era trasformata senza morire e adattata senza perdere i suoi connotati. Con Irnerio l’eredità di Giustiniano si riassesta, i Libri legali medievali vengono articolati nella scuola di Bologna in cinque volumi che formarono complessivamente il Corpus iuris civilis.
Su queste fonti l’esegesi testuale fu il primo passo per comprendere e ricomporre il testo appena ordinato. Furono dette glosse i chiarimenti letterali e lecturae le lezioni che i maestri davano ai loro discepoli che sempre più numerosi giungevano da tutta l’Europa. I glossatori non si limitavano alla sola chiarificazione del testo, ma riportavano anche passi paralleli o contrastanti utilizzando tutto il materiale del Corpus iuris civilis e cercando di risolvere le contraddizioni.
L’eredità di Irnerio fu raccolta dall’attività dei maestri e dalla crescente presenza di allievi che appresa la nuova tecnica e la scienza del diritto ritornavano nelle loro terre di origine inserendole nelle strutture sociali del tempo.
I giovani desiderosi di apprendere si organizzavano spontaneamente nella nascita delle scuole e il rapporto con i maestri. Le prime comitivae si trasformarono in societates secondo la natio che riuniva gli studenti della medesima terra. Le varie nationes si raggruppavano in un’unica associazione, l’universitas, con organi di governo interni detti rectores.
Sia l’Imperatore che il Papa appoggiarono questa nuova scienza. Per i teorici del potere imperiale lo studio dei testi romani forniva il fondamento legale dell’assolutismo imperiale. Federico I concederà riconoscimenti e privilegi ai maestri e agli studenti bolognesi. Federico II fonderà nel 1224 lo studio del diritto a Napoli, ugualmente attivo come a Bologna. Anche il Pontefice sollecitava la nuova scienza giuridica.
La tecnica di lettura dei testi non presentava grandi divari nell’insegnamento dei due diritti. Nella scuola di Bologna accanto al diritto civile si insegnava anche il diritto canonico
Maestro Graziano formatosi nell’ambiente bolognese dove operava la rinata scienza giuridica, applicò un metodo nuovo. Nel 1140 aveva aperto la strada allo studio del diritto canonico con la Concordia discordantium canonum, superando con la “concordia” la “consonantia canonum” di Ivo di Chartres a distanza di cinquanta anni.
Con Graziano inizia una nuova scuola di maestri decretisti bolognesi la cui opera scientifica acquistò carattere e risonanza europea a cominciare da Stefano Tornacense che rientrato in Francia importò la nuova scienza e dalla scuola di Parigi dette origine a nuovi centri di studio sul Decreto in Renania e nei paesi anglonormanni.
Il Decreto di Graziano fu il punto di partenza. Le lettere decretali dei pontefici si moltiplicarono e il diritto della Chiesa si articolò sulla nuova pratica d’interpretare avviandosi a una produzione di norme di carattere generale che si proponevano come principi normativi da recepire e applicare.
Le norme omesse dal Decreto di Graziano e quelle successive vennero raccolte in piccole compilazioni private, le Quinque compilationes antiquae, che poi furono raccolte e pubblicate da Gregorio IX nel 1234 sotto il titolo di Decretales extravagantes. Seguì nel 1298 il Liber sextus di Bonifacio VIII e poi le Clementinae di Clemente V. A queste si aggiunsero due collezioni private, Le Extravagantes Johannis XXII e le Extravagantes communes.
Il complesso di tutte queste collezioni che arriverà a completarsi alle soglie del Concilio di Trento, forma il Corpus iuris canonici. In questo modo il diritto canonico si poneva accanto al diritto civile con valore di universalità la cui interpretazione era sempre subordinata al fine salvifico. È questo il punto di arrivo di quel percorso voluto dalla Chiesa con la graduale emersione della lex ecclesiastica accanto alla lex mundana, considerando la legge secolare per antonomasia la legge romana l’unica compatibile con la concezione di un impero romano rinnovato.
I due ordinamenti civile e canonico costituiranno l’utrumque ius, struttura portante del diritto comune come concezione giuridica a carattere universale. La lex mundana e la lex canonica organizzavano entro un’orbita comune l’unico substrato giuridico possibile, quello romano, come romano era stato l’unico Impero ipotizzabile nella pars Occidentis che si contrapponesse a Bisanzio.
Ai primi maestri del “diritto comune”, i glossatori, seguirono generazioni di maestri esperti di diritto che partendo da Bologna portarono per tutta l’Europa l’insegnamento delle leggi romane e le categorie del diritto comune.
La penetrazione del diritto romano fin dal primo crollo dell’Impero romano e la successiva parziale conoscenza del diritto giustinianeo, là dove giunse, rappresentò il punto di forza per ricomporre la nuova ratio come conquista della scienza giuridica bolognese, riferita al diritto romano vivo e attuale come lo intesero i glossatori. Si ricomponeva la tradizione romana, conservata e diffusa anche dalla cultura canonistica, ma anche custodita e tramandata inconsapevolmente nelle pieghe del diritto consuetudinario, mentre la scientia iuris si avviava ad assumere un ruolo importante come elaborazione autonoma e come elemento costante della comune matrice culturale cristiana.
Lo ius commune si rivela come la suprema ratio scripta dell’Europa medievale. I nuovi ordinamenti presentano strutture e organi propri, e sono in grado di emanare uno ius proprium che si coordina allo ius commune, presupponendolo, non necessariamente connesso con un problema di soggezione all’impero universale.
Parlare di radici cristiane dell’Europa significa ricordarsi della storia che riguarda la fondazione dell’Europa, soprattutto a partire dall’Italia, come tradizione che si forma durante il millennio dell’unità giuridica. Il diritto giustinianeo, restituito all’integrità originaria dall’insegnamento di Irnerio della scuola di Bologna, si irradiò in gran parte d’Europa e oltre i confini dell’Europa romanza fino all’entrata in vigore delle codificazioni moderne, rappresentando il diritto comune, cioè l’unum ius dell’unum imperium, pur riconoscendo la validità di ciascun diritto particolare con la nascita degli stati nazionali. Il diritto canonico contribuì all’irradiazione del diritto comune in gran parte dell’Europa, ma anche fuori di essa con la penetrazione missionaria, perché l’insegnamento del diritto canonico obbligava allo studio del diritto romano.
L’Europa risponde alle esigenze di molti popoli che si riconoscono uniti tra loro per la condivisione di una storia millenaria fatta di valori comuni, di cui lo ius commune rappresentò l’apice della sua espressione, che sono alla radice dell’identità europea e che per questo hanno potuto esprimersi a volte anche dopo un lungo travaglio durato molti secoli tra alleanze, conflitti, rivalità.