di Andrea Drigani · Il 14 febbraio si celebra la festa dei Santi Cirillo e Metodio, che quest’anno non può non avere un particolare significato a motivo del gravissimo conflitto che coinvolge due popoli slavi e cristiani: quello ucraino e quello russo.
San Giovanni Paolo II con la Lettera Apostolica «Egregiae virtutis» del 31 dicembre 1980, proclamava i Santi Cirillo e Metodio compatroni d’Europa, richiamandosi a quanto stabilito cento anni prima dal Papa Leone XIII che, con l’Enciclica «Grande munus» del 30 settembre 1880, aveva esteso a tutta la Chiesa il culto dei due Santi.
Poiché San Giovanni Paolo II riteneva che i Santi Cirillo e Metodio rimanevano nella memoria della Chiesa insieme alla grande opera di evangelizzazione che avevano realizzato, a loro riservò l’Enciclica «Slavorum apostoli» pubblicata il 2 giugno 1985.
Nell’Enciclica viene primariamente dato rilievo alla vita dei due fratelli, entrambi nati a Salonicco: Metodio tra gli anni 815 e 820 e Cirillo nell’anno 827 o 828.
Metodio sceglie la vita monastica, come pure Cirillo, dopo aver svolto, tra l’altro, la mansione di bibliotecario dell’archivio annesso alla Chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli.
I due fratelli si trovano insieme per una speciale missione in Crimea, presso Cherson, recuperando le reliquie del Papa San Clemente I, per consegnarle poi a Roma al Papa Adriano II.
L’evento che decise tutto il corso della vita dei Santi Cirillo e Metodio fu la richiesta del principe Rastislav della Grande Moravia (uno stato comprendente diverse popolazioni slave dell’Europa centrale) all’imperatore romano d’oriente Michele III di inviare ai suoi popoli un vescovo e un maestro che fosse in grado di spiegare la vera fede cristiana nella loro lingua.
I Santi Fratelli accettarono la proposta di Michele III e circa l’anno 863 intrapresero tra quei popoli la missione per la quale si impegnarono entrambi per tutto il resto delle loro esistenza.
La missione dei santi Cirillo e Metodio vide anche privazioni, sofferenze, ostilità e persecuzioni, ma sempre ebbero il consenso dei Romani Pontefici: Adriano II, Nicola I, Giovanni VIII.
Cirillo muore a Roma il 14 febbraio 869, ma il fratello Metodio prosegue la sua attività apostolica, anche con l’approvazione dell’imperatore bizantino Basilio I e del Patriarca di Costantinopoli Fozio (in quel tempo in piena comunione on Roma).
San Metodio destinò gli ultimi anni della sua vita soprattutto a ulteriori traduzioni della Sacra Scrittura, dei libri liturgici, delle opere dei Padri della Chiesa e anche della raccolta delle leggi ecclesiastiche e civili bizantine, detta «Nomocanone». San Metodio morì il 6 aprile 885.
Bizantini di cultura, i fratelli Cirillo e Metodio, seppero farsi apostoli degli Slavi nel pieno senso della parola. Nella prospettiva dell’evangelizzazione – annota San Giovanni Paolo II – svolsero il difficile compito di tradurre i testi della Sacra Bibbia e di scritti ecclesiastici. Avvalendosi della padronanza della lingua e della cultura greca, si prefissero di comprendere e di penetrare la lingua, le usanze, le tradizioni delle genti slave, interpretandone fedelmente le aspirazioni e i valori che in esse sussistevano e si esprimevano.
Anche per questo Cirillo e i suoi collaboratori si erano preoccupati di creare un nuovo alfabeto, perché le verità da annunciare e da spiegare potessero essere scritte nella lingua slava e risultassero in tal modo pienamente comprensibili.
Fu, peraltro, la loro consapevolezza dell’antichità e della legittimità delle tradizioni orientali non bizantine che li portò a non aver timore di usare la lingua slava nella liturgia, facendone uno strumento efficace di partecipazione.
Appare evidente che i Santi Cirillo e Metodio nella pacifica «implantatio Ecclesiae» tra gli Slavi furono guidati dalla loro visione della Chiesa una, santa e universale.
Vorrei concludere con quanto scriveva San Giovanni Paolo II nella «Slavorum apostoli», si tratta di espressioni che, dinanzi alla tragica situazione originata dall’invasione russa dell’Ucraina, sono da considerarsi profetiche, non perché predicono il futuro, ma perché parlano a nome di Dio.
«Attuando il proprio carisma – affermava San Giovanni Paolo II – Cirillo e Metodio recarono un contributo decisivo alla costruzione dell’Europa, non solo nella comunione religiosa cristiana, ma anche ai fini della sua unione civile e culturale. Nemmeno oggi esiste un’altra via per superare le tensioni e riparare le rotture e gli antagonismi sia nell’Europa che nel mondo, i quali minacciano di provocare una spaventosa distruzione di vite e di valori. Essere cristiani nel nostro tempo – concludeva San Giovanni Paolo II – significa essere artefici di comunione nella Chiesa e nella società».