«Fu trasfigurato davanti a loro»
di Stefano Tarocchi · Appena subito dopo l’episodio della professione di fede di Pietro – il Vangelo di Marco, seguito dal vangelo di Matteo, annota: «sei giorni dopo» –, colloca la vicenda misteriosa e affascinante della trasfigurazione di Gesù.
Al centro c’è un monte, che non ha nome, lo stesso Gesù, e tre discepoli del gruppo dei Dodici. Subito dopo l’episodio c’è il secondo dei tre annunci della passione, e il commento conseguente di Gesù (Mc 9,30-37).
Il racconto usa un’espressione estremamente evocativa quanto misteriosa per mettere in luce ciò che è accaduto a Gesù: «fu trasfigurato davanti a loro».
Non è casuale che anche nel libro dell’Esodo abbiamo: «quando Mosè scese dal monte Sinai non sapeva che la pelle del suo volto era diventata raggiante, perché aveva conversato con il Signore» (Es 34,29). È qui che la traduzione latina di Girolamo ha ispirato in questo tratto la celebre statua di Michelangelo, con due corna che emergono dalla fronte.
Ora, se la veste esprime il nostro essere in relazione con gli altri – l’abito fa il monaco –, il volto esprime la realtà della persona, in tutta la potenzialità del suo essere.
Tuttavia, ciò che conta in questa occasione è la testimonianza di Mosè ed Elia, che infatti nel parallelo di Luca diventa il colloquio sull’esodo di Gesù («Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme»: Lc 9,30-31), ossia sulla passione che lo attende a Gerusalemme.
Nel testo di Marco la presenza di Mosè ed Elia giustifica le parole con cui Pietro, in maniera quasi ingenua, propone di costruire tre tende sul monte, per Gesù e i due rappresentanti delle antiche Scritture: «è bello essere qui» (Mc 9,5).
L’episodio della trasfigurazione ha il suo culmine nel momento della discesa, con l’ordine di Gesù ai discepoli di non rivelare quanto hanno veduto sul monte. Il termine è fissato dopo la risurrezione dai morti del Figlio dell’uomo.
Ma è proprio questa la domanda che si pongono: che cosa significa risorgere dai morti?
In questa maniera l’evangelista narra ai suoi lettori il cammino verso Gerusalemme: una volta stabilito che Pietro afferma che Gesù è il Cristo (Mc 8,29), è il momento di compiere il viaggio verso Gerusalemme. La città santa saprà rivelare in pieno il significato di questo episodio carico di mistero.
Intanto i discepoli si trovano in mezzo alla loro povertà di creature umane, «uomini di poca fede» (Mc 4,40).
Infatti, poco prima, ed esattamente quando ha riferito le sue parole, il Vangelo di Marco ha riferito che Pietro «non sapeva cosa convenisse dire: erano spaventati» (Mc 9,6; cf. Lc 17,33: «egli non sapeva quello che diceva»). Così che in Luca e in Matteo si parla di paura e di terrore: «all’entrare nella nube, ebbero paura» (Lc 17,34); «all’udire ciò [la voce divina che parla dalla nube], i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore» (Mt 9,6). Ma proprio in quel momento, è sempre Matteo a raccontarlo, «Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete» (Mt 17,8).
Possiamo chiederci il perché di questo silenzio: si tratta forse di una delle modalità del silenzio messianico, o meglio della possibilità di equivocare sull’interpretazione della missione di Gesù?