Fabrizio Fabbrini e l’obiezione di coscienza: «è donando, e non uccidendo, che si conquista la dignità di persone umane»

Cinquant’anni esatti di obiezione allo strumento militare, per un impegno civile alternativo. Mezzo secolo dalla prima legge, quella che ha riconosciuto a oltre 800 mila obiettori il diritto di difendere la Patria nell’aiuto alle persone fragili, nell’ambiente degradato, nei beni culturali.

QUI: dal quale attingo).

Claudio Baglietto e di Josef Mayr-Nusser (vedi) furono i primi due. Dettero una testimonianza che in questi odierni tempi della terza guerra mondiale è più che mai attuale.

Particolare clamore destò la scelta del primo che, recatosi in Germania nel 1932, per motivi di studio, ripara l’anno successivo, causa l’avvento di Hitler al potere, in Svizzera, rifiutando di rientrare in patria, poiché matura la convinzione della doverosità dell’obiezione di coscienza nei confronti del servizio militare. Morì precocemente a Basilea nel 1940.

Josef Mayr-Nusser, il primo obiettore di coscienza cattolico italiano, bolzanino, si distinse a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, per un notevole impegno nella sua diocesi. Esortava pubblicamente all’impegno che ogni buon cristiano deve compiere in una fase così tragica per l’Europa sempre più compressa nella perniciosa spirale dei totalitarismi, in particolare per lui quello hitleriano. Nei suoi interventi fa esplicito riferimento al pericolo rappresentato da quel «culto del leader che rasenta l’idolatria». Incarnava un esempio di evangelizzazione a cui invita oggi Papa Francesco quando parla di rifiuto del proselitismo e richiama la necessità della testimonianza e della coerenza. Mayr-Nusser così affermava: «Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma efficace […]. Né la spada, né la forza, né finanze, né capacità intellettuali, niente di tutto ciò è posto come condizione imprescindibile per erigere il regno di Cristo sulla terra. È una cosa ben più modesta e allo stesso tempo ben più importante che il Signore ci richiede: dare testimonianza». Dopo l’8 settembre 1943 i nazisti invasero il nord Italia e reclutarono i cittadini italiani. Nel settembre 1944 tale sorte toccò anche a Mayr-Nusser che si rifiutò di giurare fedeltà a Hitler. Motivata per iscritto la sua scelta religiosa, il coraggioso Josef il 5 ottobre 1944 viene rinchiuso in carcere e quindi trasferito nella prigione di Danzica in attesa del processo che, nel gennaio del 1945, stabilisce il suo trasferimento nel campo di concentramento di Dachau. Il giovane altoatesino, stremato a causa delle durissime condizioni carcerarie e dagli estenuanti spostamenti, muore il 24 febbraio ad Erlangen. Scelse il martirio come estremo sacrificio in ragione di quelle istanze di amore verso ogni uomo, che il giuramento nazista gli avrebbe fatto sconfessare.

Rilevante fu anche il caso di Fabrizio Fabbrini, noto a Firenze perché fu assistente di Giorgio La Pira. Fabrizio Fabbrini nacque a Forlì il 28 luglio 1938. Nella sua attività di ricerca e di insegna­mento universitario ha portato avanti per anni la problematica relativa ai diritti della persona umana, testimo­niando i valori della libertà della coscienza di fronte alle strutture, nella difesa dei deboli. Questa sua visione di cattolico e di giurista lo ha condotto ad un atteggiamento fortemente critico nei riguardi dell’esercito, facendo suo il problema degli obiettori di coscienza, di quanti cioè avvertono che gli strumenti di violenza, comunque adoperati servono solo ad opprimere i poveri e i deboli.

Il 6 dicembre 1965, il giorno prima della fine del Concilio Vaticano II (che si era espresso favorevolmente sull’obiezione di coscienza), Fabbrini – a soli dieci giorni dal congedo – restituì la divisa. Ne seguì l’immediato arresto. Il Tribunale militare territoriale di Roma, il 22 febbraio 1966, lo condannò a venti mesi di reclusione, riconoscendolo colpe­vole dei seguenti reati: disobbedienza aggrava­ta, insubordinazione con ingiuria aggravata e con­tinuata, istigazione a commettere reati militari. È stata la più dura condanna che sia mai stata inflitta ad un obiettore di coscienza. Il Parlamento poi votò amnistia e indulto (3 giugno 1966). Fabbrini rifiutò l’amnistia e si è sempre vantato di avere quella condanna sulla fedina penale. Ma non poté dire di «no» all’indulto che serviva a svuotare le carceri e così dopo aver scontato  sei  mesi  di  reclusione al Carcere militare di Forte Boccea in Roma tornò libero.

«Quattro giorni dopo la condanna – racconta Fabbrini – mi arrivò il telegramma che mi diceva che non ero più assistente di storia all’Università di Roma. Allora La Pira mi spedì un telegramma dicendo: “Se da Roma la cacciano, a Firenze c’è posto per lei”. A giugno venni a Firenze, per ringraziare La Pira. In realtà il posto non c’era e dovetti fare il concorso per insegnare storia e filosofia alle superiori. Poi nel 1969 si liberò un posto di assistente ordinario. Vinsi quel concorso e divenni assistente ordinario di Giorgio La Pira». Appena uscito di prigione dette alle stampe il libro Tu non ucciderai: i cattolici e l’obiezione di coscienza in Italia (Firenze, Cultura ed., 1966). «Venne presentato a Roma alla fine di giugno ’66 da La Pira e da altri parlamentari. Allora era il momento di maggiore tensione sul problema. C’era il Vietnam… E nel mio libro il primo caso di cui mi occupavo era quello di La Pira e della proiezione che fece a Firenze nel novembre del 1961 del film di Autant-Lara: Tu ne tueras pas» («non uccidere»). Il film racconta la storia di un obiettore di coscienza. La Pira finì sotto processo per quella proiezione, venne inizialmente condannato e infine prosciolto.