Don Paolo Carlotti (1955-2023), un teologo testimone del senso della Chiesa
di Gianni Cioli · Lo scorso 9 luglio all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, dove era stato ricoverato per problemi cardio-respiratori, moriva don Paolo Carlotti, Ordinario di Teologia morale presso l’Università Pontificia Salesiana.
Don Paolo era nato a Nozzano Castello in provincia di Lucca nel 1955; nel 1975 era entrato a far parte della famiglia Salesiana e nel 1983 era stato ordinato presbitero. Aveva iniziato lo studio della teologia presso la sezione torinese della Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana, aveva poi conseguito la Licenza in Teologia morale presso la Pontificia Università Gregoriana, dove, nel 1987, aveva infine completato il percorso degli studi teologici laureandosi con una tesi sul moralista tedesco Alfons Auer (Storicità e morale. Un’indagine nel pensiero di Alfons Auer, LAS, Roma 1989). Nel 1989 iniziò il percorso d’insegnamento alla Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana con lo svolgimento degli insegnamenti curricolari previsti, acquisendo competenza disciplinare e didattica, e giungendo alla qualifica di docente ordinario nel 2001, con l’assunzione dapprima della cattedra di Teologia morale sociale e poi di quella fondamentale. Nella sua intensa vita accademica don Paolo ha tenuto corsi di morale, di formazione sacerdotale, di educazione etica dei giovani, in continuità con l’impostazione del suo predecessore don Guido Gatti. Alla Università Pontificia Salesiana egli ha ricoperto l’incarico di Vicerettore (2018-2021) e di Direttore dell’Istituto di Teologia Dogmatica. È stato Membro dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM), collaborandovi attivamente come consigliere e, dal 2010 al 2018, come delegato della sezione Italia centrale dell’ATISM. È stato anche docente invitato in diverse Università pontificie romane.
Oltre che attraverso la sua intensa attività accademica don Paolo ha servito la Chiesa collaborando intensamente con diversi organismi della Curia romana e con altre istituzioni ecclesiali. È stato anche consultore presso la Congregazione per le cause dei Santi e presso il Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. È stato prelato consigliere della Penitenzieria Apostolica e consigliere ecclesiastico di Coldiretti Lazio e Roma. Sovente è stato chiamato ad offrire la sua consulenza presso istituzioni di rilievo, come il Pontificio Consiglio della Pastorale Sanitaria (1995), il Centro Culturale Bachelet di Cosenza (1998) e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma (2003).
Da questa produzione teologica emerge, fra l’altro, a testimonianza del suo spiccato senso ecclesiale, una particolare attenzione, da parte di don Paolo, all’ermeneutica del magistero della Chiesa, considerato con peculiare sensibilità pastorale. Nelle sue ultime opere, l’attenzione si è concentrata sul Magistero di papa Francesco, interpretato fondamentalmente secondo un’ermeneutica della continuità rispetto all’insegnamento dei predecessori, pur nel riconoscimento dei suoi indubbi elementi innovativi.
Sono significative, a questo proposito, le considerazioni proposte nella recente monografia, dedicata a La coscienza morale cristiana (LAS, Roma 2022), nella quale Carlotti sottolineava che, nell’insegnamento dell’attuale pontefice, andrebbe riconosciuto, in particolare, «il passaggio da una prospettiva incentrata sull’oggetto morale – tipica di Giovanni Paolo II – ad una che muove dal soggetto morale e quindi si concentra non tanto sul prescrittivo ma sul performativo, senza naturalmente dimenticare o sminuire né l’oggettivo né il prescrittivo». In quest’ottica riceverebbe «spiccata considerazione la premura educativa e formativa, come chiave di volta e quindi di svolta, talora veramente risolutiva, delle più attuali e controverse questioni morali» (p. 167).
Il percorso che Carlotti ci lascia in qualche modo in eredità, con il suo approdo al magistero di Francesco, pare voler enucleare e porre in relazione, senza nasconderne in nessun modo la complessità e la problematicità, gli elementi di una sfida aperta in cui la teologia morale è oggi, forse come non mai, chiamata a misurarsi: «delineare una morale del soggetto, cioè soggettiva, senza essere soggettivistica, cioè relativista. Il rischio del soggettivismo non può fermare questo progetto, che non deve svolgersi solo in funzione di prevenire questo possibile rischio». La sfida aperta che don Paolo ci lascia in consegna sarebbe dunque, in linea con l’attuale magistero papale, quella «di profilare una autentica e valida morale del soggetto, che ha sviluppi propri ulteriori a quelli semplicemente richiesti da una difesa dal soggettivismo e dal relativismo. Occorre trasformare il rischio soggettivistico in risorsa per una etica consistente del soggetto» (pp. 167-168).